Sembrava bellezza di Teresa Ciabatti: un libro di corpi emotivi che si muovono tra le altezze e le cadute dell’anima. Recensione

 Sembrava bellezza di Teresa Ciabatti: un libro di corpi emotivi che si muovono tra le altezze e le cadute dell’anima. Recensione

“I fatti e le persone di questa storia sono reali. Fasulla è l’età di mia figlia, il luogo di residenza, altro”. Esordisce così Teresa Ciabatti in Sembrava Bellezza, nuovo romanzo edito da Mondadori. Con un incipit che punta dritto al cuore. E nessuno verrà risparmiato in questa resa dei conti di una storia che si prospetta reale, ma che lascia il lettore sempre sulla superficie dell’acqua a galleggiare tra la verità e la finzione.

La Ciabatti si immerge, e i lettori con lei, in un’altra dimensione in cui non è dato sapere. Basta mettersi in ascolto di un disordine maledettamente organizzato di parole che scorrono come un fiume in piena, fiume che sfocia nel mare. Impetuosamente.

Sembrava bellezza: la trama del libro di Teresa Ciabatti

Questa è la storia di una scrittrice di successo che, a quarantasette anni, ormai si è presa la sua rivincita professionale. Così non è nella vita privata: è separata, ha una figlia di circa 20 anni con cui non ha un buon rapporto, o forse non ce l’ha. Un giorno, dopo trent’anni, a sconvolgerle la vita emotiva – fatta di incontri sentimentali con uomini, prima amanti poi diventanti solo storie che si consumano in breve tempo –, arriva una sua amica d’adolescenza, Federica. E qui il salto nel passato è d’obbligo. I ricordi riemergono e gettano le basi di questo romanzo altamente emotivo che racconta le donne sbagliate di qualsiasi generazione, attraverso l’inesorabile scorrere del tempo.

Con Federica, ad affiorare dai ricordi, arriva anche Livia, sorella della sua amica, che la protagonista dipinge come una ragazza bellissima e perfetta, al punto che avrebbe fatto carte false per essere lei. Il piano narrativo si ramifica in vari livelli temporali: l’adolescenza vissuta con Federica negli anni ‘80; i ricordi dell’incidente di Livia che la fermeranno mentalmente ai suoi anni giovanili con un ritardo che si porterà per tutta la vita (ha 50 anni ma è come se ne avesse 18); momenti di violenza, vergogna e inadeguatezza di un passato familiare che trova casa in una madre trasandata e un bisnonno violento. In questo quadro di imperfetta femminilità ci sono tante vite: quella della bella Livia dall’adolescenza a oggi; quella della protagonista, sbagliata dapprima nel fisico (è grassottella e ha un seno disequilibrato); quella di Federica che ha fatto da sorella, madre e badante a Livia; quella degli uomini di questa vicenda che sono a volte il movente, a volte il carburante o solo un accessorio della potenza delle donne.

Quando Federica torna nella vita della protagonista ricomincia una nuova amicizia tra le due, si appoggiano l’una a l’altra in un arco temporale decisamente breve. Federica ha un marito – chiusa in un rapporto che scricchiola –, due figli e vive a Genova dopo una vita passata a fare da badante alla sorella. La scrittrice, separata con una figlia di 20 anni, vive tra il successo dei suoi libri e un problema fisico che si porta avanti da molti anni, anche abbastanza imbarazzante. Per dare senso vero alla sua vita prova a ricostruire il rapporto con la figlia in tutti i modi. Tant’è che cerca una comunicazione tramite qualsiasi via, anche presentandosi negli studi televisivi di un programma a quiz a cui Anita partecipa. In questa ricomposizione di pezzi, ricompare Livia, ora 50enne con un grave ritardo mentale che la porta a essere schietta nella comunicazione, soprattutto quando si tratta di argomenti sessuali. Il suo desiderio? Ritrovare Massimo il suo fidanzato del liceo. In questa ricerca viene coinvolta la protagonista che si ritrova a fare da madre, quello che non ha potuto fare con Anita, a una donna adulta.  In questo triumvirato di errori emotivi, le donne di Sembrava bellezza trovano un nuovo modo per essere legate, ma non troppo, in un gioco di invidia, compassione, senso di colpa, bontà, riproponendo uno schema ribaltato rispetto a quello dell’adolescenza.

Un romanzo di altezze e bassezze

In questa storia si cade molte volte. Con il corpo e con l’anima. E dai bassifondi di una provincia non ci si sente all’altezza. Si va in basso e si punta all’alto. Si sta in alto e si cade giù, negli inferi, per vedere la vita vera. Quella della bruttezza, dei limiti fisici e mentali, quelli di una tetta normale e una più piccola. E si viaggia, sulla silhouette dei corpi cercando di tirare a sé, come con una fune, le emozioni migliori: l’amore, la felicità. Ma dall’altro capo della corda non sono in due, sono in mille e l’invidia,

[…] “puoi vagamente immaginare le volte che ho desiderato essere te? I tuoi capelli, le tue gambe. Cosa avrei fatto se fossi stata lei per un giorno, datemi un solo giorno, basta un giorno”.

la vergogna,

“Provando vergogna per casa mia (vivevamo con la nonna come i poveri, i meridionali)”

l’inadeguatezza, la cattiveria, si annidano in quella spirale di fibra tessile. Solo immaginaria che sfrega sulla epidermide delle mani e provoca dolore. Nonostante tutto.

Qui ci sono corpi che cadono (proveremo a non svelare troppo) e corpi che rimangono intatti – lodevole l’assonanza semantica tra queste cadute e la partecipazione di Anita, figlia della protagonista al programma A caduta libera.

E cadere vuol dire pareggiare i conti: “nella mia mente Livia cade all’infinito”.

Un libro di corpi emotivi

“La bellezza è una specie di armonia visibile che penetra soavemente nei cuori umani”, scriveva Ugo Foscolo. E in questo romanzo la bellezza senza tempo si concentra tutta nella persona di Livia: bionda, belle gambe, attraente, proporzionata. Che suscita l’invidia di amica e sorella: più piccole, con corpi non proprio perfetti, ragazze normali.

E la ricerca della bellezza, inconsciamente anche dell’animo, è il Leitmotiv che tiene in piedi tutto il romanzo. La protagonista è ossessionata dal corpo. Vede in altri quello che vorrebbe e trova in sé quello che non accetta: le fattezze carnose, il disequilibrio dei seni. Ed è come se il destino dei belli e dei brutti, qui, sia scritto già dall’inizio. Come se la bruttezza potesse coincidere con la cattiveria e viceversa. Potesse, per l’appunto. Si crede così, ma è il riscatto che fa da ago della bilancia in tutta questa storia. La piccola ragazza di provincia poco sognata dagli uomini, cattivella (si scoprirà), con problemi fisici, diventa una donna di successo, famosa. Ma si sa, il destino molto spesso torna a bussare alla porta e chissà che non sia vero tutto quello che ha detto sin dall’inizio.

Temi e momenti ricorrenti

Che Teresa Ciabatti sappia raccontare perfettamente le donne, le madri e le figlie, si sa, e non c’è bisogno di spiegarlo in una recensione: le narra soprattutto nella loro imperfezione, nella loro vera essenza. Anche in questo romanzo, ripropone tematiche e piccoli dettagli ricorrenti che si allacciano semanticamente ai suoi lavori precedenti. Parliamo di un messaggio ricevuto da una persona del passato che compare anche nel racconto “Medea” scritto per il volume “Le Nuove Eroidi”. O la scomparsa, quella di un minore e della ricerca da parte di una madre (vedi in “Matrigna”) o di un padre (gli episodi importanti che citiamo sono due all’interno di “Sembrava bellezza”); e ancora l’adolescenza mischiata all’aspirazione di una vita adulta attraverso il corpo: tema che troviamo qui, ma anche ne “La più amata”.

La narrazione di Teresa Ciabatti

Tutte le volte che sotto gli occhi, nella mente, tra le dita di un libro scorrono le parole di Teresa Ciabatti la reazione è la stessa: una corsa forsennata verso la pagina successiva e poi un’altra e un’altra ancora, con battito regolare che intensifica la sua frequenza in due, tre punti. Il colpo di scena. Di sicuro sempre quando non te l’aspetti, e mai quando avresti immaginato.

Lo scorrere delle sue parole, che si mettono in fila una dopo l’altra con uno stile personale fatto di pochi dialoghi e molti flussi di coscienza – che saltellano nel tempo a intervalli anche non regolari cronologicamente eppure ben strutturati –, rispecchia le emozioni che trasudano da questo romanzo.

Spesso l’autrice si rivolge ai lettori come se fossero anche loro parte della storia, come se nella ricostruzione dei fatti sia necessario che loro ascoltino e prendano appunti: “riavvolgi il nastro”. Ed è così che si va dietro a date, aneddoti da ricordare, scene e persone da appuntare per non perdere nemmeno un pezzo di tutta la vicenda che diventa quasi un caso letteral-giudiziario, dove le scene del crimine sono varie e l’assassino si confonde tra prove e smentite di colpevolezza.

Non manca la competenza cinematografica dell’autrice che racconta come se stesse dirigendo un film con una camera da presa tra le mani. Si zooma su certi particolari della vicenda – i dettagli di vestiario e aspetti fisici – , si fanno campi lunghissimi su episodi che sembrano non avere a che fare con la storia stessa, ma poi hanno dei legami ben stretti, vedi i vari riferimenti al caso Emanuela Orlandi.

E ti ritrovi fra i venti imperfetti di una narrazione umana, vera, che scivola sullo strato vivo dell’epidermide, l’organo più esteso e sensibile del nostro corpo. Quello che sentiamo di noi, quello che gli altri avvertono di noi.

a cura di Antonella Dilorenzo

 

Antonella Dilorenzo

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