Scompartimento N. 6 di Rosa Liksom: un romanzo per immergersi nelle atmosfere sovietiche a bordo di un treno. Recensione
Quando nel 2011 Rosa Liksom, scrittrice finlandese già affermata in patria, pubblicò Scompartimento N.6, l’editore giudicò l’opera troppo anomala per arrivare a un grande successo. Il linguaggio aspro, scabro, sebbene poetico, ma soprattutto l’ambientazione – l’Unione Sovietica degli anni ’80, una potenza sull’orlo della dissoluzione – lo avrebbero probabilmente reso indigesto ai finlandesi, memori delle tensioni della Guerra fredda.
L’omonimo film, liberamente ispirato al romanzo, valso al regista finlandese Juho Kuosmanen il Gran premio della Giuria all’ultimo Festival di Cannes, ha acceso nuovamente i riflettori sul piccolo capolavoro che la Liksom ha saputo generare.
Un romanzo denso di immagini, odori, giochi di luce e paesaggi sconfinati che ci ha fornito l’ispirazione per approfondire una terra inesplorata.
Scompartimento N.6 di Rosa Liksom: la trama del libro
Due sconosciuti si trovano, loro malgrado, a condividere l’angusto scompartimento n°6 del leggendario treno che percorre la tratta Transiberiana da Mosca a Ulan Bator, capitale della Mongolia. Lei, finlandese studentessa di archeologia, timida e introversa; lui, metalmeccanico russo, plasmato secondo la forma mentis della grande macchina sovietica. La convivenza, che inizialmente appare impossibile, lungo il viaggio diviene più tollerabile, e, fermata dopo fermata, le teorie scioviniste e maschiliste del russo Vadim, lasciano il posto alla disperazione di un amore, quello per la Madre Russia, inesorabilmente fallito e annegato nella vodka.
“Si allontana l’Unione Sovietica, una terra stanca, sporca, e il treno s’immerge nella natura, avanza pulsando attraverso un paese sabbioso, deserto. Tutto è in movimento: la neve, l’acqua, l’aria, gli alberi, le nubi, il vento, le città, i villaggi, gli uomini e i pensieri.”
Un romanzo più che attuale a trent’anni dalla caduta del Regime Sovietico
Scompartimento n°6 è soprattutto un viaggio nelle città siberiane dai nomi ostici e dall’edilizia distopica, nel respiro immenso e gelido della natura boreale, nelle tradizioni di un mondo rurale e di un’epoca per molti ancora poco nota. Le atmosfere tossiche della colonizzazione industriale targata URSS, le dinamiche di un sistema politico oppressivo e indifferente, e gli impeti di orgoglio e autodistruzione del popolo russo, fanno da cornice a un racconto costellato da una miriade di citazioni e riferimenti popolari.
Come la cucina – i pirozhki, fagottini ripieni di carne simili alle nostre focaccine, o il kvass, una sorta di birra prodotta in casa e ottenuta dalla fermentazione del pane – o gli oggetti comuni dell’epoca; come le pesanti sigarette Belomorkanal che i metalmeccanici russi consumavano in grande quantità, o gli abiti popolari che Vadim indossa identificando immediatamente il suo ceto sociale.
Scompartimento N.6: un esperimento semantico ricco di interconnessioni artistiche
A trent’anni dalla caduta del regime sovietico, il romanzo della Liksom risulta ancor più attuale per la capacità di connettersi ad altri progetti artistici che evocano gli stessi luoghi. Leggendolo ci è sembrato inevitabile ripensare alle immagini e alle riflessioni del fotografo russo Sergej Ponomarev, incaricato da Apple di realizzare un fotoreportage dei sette giorni di viaggio in treno lungo la transiberiana, armato unicamente del proprio smartphone.
I casolari in fiamme, che talora illuminano la taiga all’orizzonte, ricordano Motherland, ambizioso progetto di Fotografia Europea del 2018. Non ci stupirebbe poi di trovare Vadim il russo in Transnistria, tra i criminali di Educazione Siberiana, il romanzo di Nicolai Lilin da cui è tratto l’omonimo film di Gabriel Salvadores. E tra i passeggeri in viaggio ci avrebbe sorpreso David Bowie, immortalato in alcuni scatti memorabili nel 1973, quando attraversò in segreto l’Unione Sovietica di ritorno da una tournée in Giappone.
“Scompartimento n°6” è un racconto che ben presto esce dallo spazio claustrofobico del vagone del treno per connettersi al mondo che attraversa, come una finestra temporale che consente al lettore un’incursione in un passato ancora così attuale.
“Quando si passa così tanto tempo all’interno di un treno, si raggiunge uno stato d’animo strano… Non si è più a casa. Ma non si è ancora arrivati da nessuna parte. Tutto è uguale, ma al contempo tutto cambia: il paesaggio, la gente… Anche il tempo assume un aspetto incostante.” (Sergej Ponomarev).
a cura di Silvia Ognibene (@silviabookolica) e Natale Vazzana