Neroconfetto di Giulia Sara Miori: 21 racconti per chi ha il coraggio di guardarsi dentro. Recensione.
Neroconfetto è l’esordio narrativo di Giulia Sara Miori, edito a giugno 2021 da Racconti Edizioni. Dopo aver pubblicato le sue storie su alcune tra le più importanti riviste e webzine del settore (Altri Animali, Narrandom, L’Indiscreto), Miori esce con Neroconfetto, una raccolta di ventuno racconti che si inseriscono a pieno titolo in quel genere a cavallo tra horror e weird, in una commistione di toni e temi che tuttavia non perde mai la coerenza di una parola chiave: inquietudine.
“E mi dispiace se hai sofferto, Lucille, ma tutto quello che ho fatto era necessario per cercare di guarirti, e anche se sapevo che non sarebbe servito a nulla, io l’ho fatto lo stesso: le iniezioni erano necessarie, lo sciroppo era necessario, la minestra era necessaria, e lo sai anche tu, Lucille, lo sai anche tu che io lo facevo solo per starti vicina, solo per aiutarti a stare meglio, solo per prendermi cura di te.”
Neroconfetto: prove di scrittura per storie in continua evoluzione
Con uno stile di scrittura personalissimo, ma che allo stesso tempo cambia continuamente pelle per adattarsi alle protagoniste delle sue storie e alle loro avventure, Miori in Neroconfetto affronta diversi temi legati alla più stretta attualità: lo stalking, la pressione alla quale siamo sottoposti per apparire sempre perfetti, la necessità di sentirsi visti e notati spesso a qualsiasi costo, le relazioni tossiche che dominano la nostra quotidianità ma che spesso non riusciamo a interrompere per il timore di rimanere soli. L’originalità nei racconti dell’autrice è legata al fatto che questi temi così contemporanei sono abilmente intrecciati a elementi selezionati con cura a partire dai generi letterari più disparati.
Se infatti il contenuto è rappresentato da situazioni nelle quali tutti possiamo trovarci nella nostra vita quotidiana – con un occhio di riguardo alla vita delle giovani donne –, il contenitore è spesso quello conosciuto e sempre intrigante di una narrativa gotica, ottocentesca, un immaginario che guarda volentieri con ironia ai topoi cari all’horror “classico”: ci sono babysitter preoccupate e preoccupanti, bambole che prendono vita, case infestate dai fantasmi, zombie che si scuotono la terra dai capelli ed escono dalle loro tombe per riprendere la vita da dove l’avevano lasciata.
“E allora Winnie ha detto va bene, se non mi credi va bene, torniamo a casa e vedrai coi tuoi occhi che la mamma è cattiva, torniamo a casa e vedrai coi tuoi occhi che la mamma non ti vuole più bene. E mentre camminiamo sull’asfalto ghiacciato, e mentre muoio di freddo e di sonno, mi pare di essere già nel mio letto caldo, nel mio letto morbido, con la mamma seduta accanto a me, la mamma che mi racconta una favola, la mamma che mi dice adesso dormi che è tardi, la mamma che mi stringe, la mamma che mi porta una tazza di latte caldo, la mamma che mi dice di non prendere freddo, la mamma che mi rimbocca le coperte, la mamma che spegne la luce e mi dice buonanotte tesoro, buonanotte piccola mia, sogni d’oro.”
I protagonisti e le protagoniste di Neroconfetto sono lo specchio delle nostre paure più profonde
Che siano donne adulte o bambine, ragazzi giovani o uomini ormai vicini alla pensione, i protagonisti e le protagoniste di Miori sono spesso dominati da ossessioni e demoni interiori che non riescono a esorcizzare: paure, traumi e insicurezze che l’autrice continuamente indaga quasi scavando nella psiche di coloro che abitano le pagine dei racconti, per arrivare a un nucleo originario nascosto, senza offrire a chi legge un lieto fine. L’assenza di una soluzione positiva e pienamente chiarificatrice della storia, però, non rende i racconti di Neroconfetto meno efficaci, meno potenti: a Miori bastano poche pennellate per dare vita a donne che, seppure nello spazio di poche pagine, rimangono impresse a fondo nella memoria di chi legge.
“L’aereo gira in tondo, Sono ancora qui. Non so quanto tempo è passato, Mi guardo allo specchietto che porto sempre in borsa. Ho i capelli bianchi e la faccia piena di rughe.
Sono le 16.34. Le 16.34. Le 16.34.”
a cura di Alessia Cito