Magnificat di Sonia Aggio: l’alluvione in Polesine raccontata in chiave gotica. Recensione
Sonia Aggio, nata a Rovigo nel 1995, richiama uno degli eventi più dolorosi e tristemente famosi della sua terra – l’alluvione in Polesine del 1951 – per ambientarvi il suo romanzo d’esordio. Segnalata per i suoi scritti dalle giurie del premio Calvino e del premio Campiello giovani, in Magnificat (Fazi, 2022) Aggio elabora un racconto immaginifico, visionario, che lascia spiazzato il lettore.
Magnificat di Sonia Aggio: la trama del libro
Nilde e Norma sono cugine, ma è come se fossero sorelle. Sono coetanee e, crescendo, il loro legame è diventato sempre più forte, fino a trovare rifugio l’una nell’altra dopo la morte dei rispettivi genitori avvenuta durante i bombardamenti del 1944. Un pomeriggio Norma rientra a casa visibilmente sconvolta: ha le ginocchia sbucciate, delle ferite sui gomiti. A Nilde racconta di essere caduta mentre percorreva l’argine del fiume Po in bicicletta per rientrare a casa. Ma Nilde sin da subito sospetta che non si tratti della verità. I comportamenti di Norma, da quel momento, si fanno sempre più bizzarri: a ogni temporale raggiunge il fiume correndo sotto la pioggia, fa in modo che Nilde perda le sue tracce per giorni; ha uno sguardo sconvolto e nega l’aiuto di chiunque. Un giorno, mentre la pioggia non dà segno di volersi placare, il Po è in piena e minaccia di rompere gli argini, Nilde scopre il segreto che ha allontanato Norma da lei.
Un romanzo gotico che mescola il dramma romantico a elementi soprannaturali
A dispetto dell’immagine di copertina – versione a colori di una fotografia scattata durante l’alluvione delle campagne del Polesine – che induce immaginare si tratti di un romanzo storico, Magnificat sin dall’incipit dimostra di essere tutt’altro. La cornice storica, ben ricostruita dall’autrice, ospita un racconto che richiama, grazie a diversi elementi, i grandi romanzi gotici del passato. Le atmosfere predominanti sono notturne, con le acque profonde, calme ma minacciose del fiume Po e la nebbia che copre l’immensa campagna. In questa scenografia si svolge il dramma di una giovane donna che non può sottrarsi al proprio destino, unito a quello di un paese che assiste immobile alla potenza della natura.
«Il vento arriva all’improvviso, mentre raccoglie i panni. Nilde appallottola le lenzuola contro il petto e alza la testa: il temporale si è avvicinato in silenzio, la pancia piena di fulmini ha inghiottito il tramonto».
La scrittura di Sonia Aggio in Magnificat
Il romanzo si divide in due parti complementari che riportano i punti di vista di Nilde e Norma. Dapprima viene presentato quello della cugina più ingenua, Nilde, ignara di ciò che sta accadendo attorno a lei e incapace anche solo di immaginarne l’epilogo. La seconda metà del romanzo si immerge ancor più nell’oscurità grazie allo sguardo allucinato di Norma, che svela il mistero e accompagna il lettore sempre più vicino al terribile evento conclusivo. Le immagini descritte si susseguono rapide su uno sfondo nero, come lampi di luce durante la notte. La scrittura di Aggio è cinematografica, rivolta all’azione, poco descrittiva, ma decisamente in grado di predisporre quella tensione che trascina velocemente il lettore alle battute finali.
«Nilde si aggrappa al tronco di un pioppo e si sporge a guardare il fiume. Un colpo di vento increspa l’acqua, il riflesso della luna si spezza in mille sogghigni. L’erba fruscia, le onde sciabordano contro la riva, strisciano sulla spiaggia. Lei si lecca le labbra, cerca il coraggio di chiamare Norma».
A cura di Silvia Ognibene
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