L’unica persona nera nella stanza di Nadeesha Uyangoda: cosa significa essere neri, oggi, in Italia. Recensione
Sei seduta in una stanza, hai gli occhi puntati addosso. È la tua pelle: scotta come se fosse marchiata a fuoco; grida la tua diversità, la tua solitudine. Sei l’unica persona nera in quella stanza, l’unica per cui è sufficiente un solo sguardo per la classificazione – immigrata, straniera, fuori posto. La tua voce è ridotta a un sospiro, perché quella degli altri, bianchi, grida più forte. Non ci sono fondotinta per te, non c’è un microfono nei dibattiti pubblici – e se provi a dire che qualcosa ti ha offeso, che quell’espressione non è esattamente lusinghiera, vieni tacciata di vittimismo. Non ti rimane nient’altro che la scrittura: quel cantuccio da cui è possibile raccontare com’è il mondo visto dai margini a cui ti hanno costretta. È l’unico modo per lottare – è l’unico modo per essere (ri)conosciuti.
L’unica persona nera nella stanza di Nadeesha Uyangoda: di cosa parla
Sono queste le premesse di L’unica persona nera nella stanza, scritto da Nadeesha Uyangoda e pubblicato da 66thand2nd: un testo a metà tra il pamphlet e il memoir che cerca di riappropriarsi di una narrazione per troppo tempo distorta e cancellata dalla politica e dal giornalismo.
«I Neri Italiani, nel contesto mainstream, esistono solo nella propaganda politica. […] Sono la riforma della cittadinanza, l’immigrazione fuori controllo, i barconi, l’integrazione. […] Negli ambienti culturali italiani i neri non esistono, o meglio: esistono come oggetto del discorso, quasi mai come soggetto».
La domanda a cui questo testo cerca di rispondere è tanto immediata quanto complessa: cosa significa essere neri in Italia? Nadeesha Uyangoda passa in rassegna moltissimi temi: le coppie miste, il colourism (la tendenza a sbiancarsi il colore della pelle per rientrare nei canoni estetici occidentali), la discussione sulla cittadinanza, il razzismo interiorizzato e quello a cui ormai ci siamo così tanto abituati da non riuscire a notare; la marginalizzazione nei dibattiti televisivi, i termini che oggi dovrebbero (e non dovrebbero) descrivere il grande ventaglio Bame (Black, Asian and Minority Ethnic). La sua narrazione mescola letteratura, cinema, documentari, esperienza diretta e indiretta, casi giornalistici e espressioni mediatiche – e il risultato è un ragionamento lucido e appassionato, uno dei più importanti a cui oggi, in Italia, dovremmo prestare ascolto.
Un libro illuminante per uscire fuori dai propri schemi
La discussione attorno al tema della razza – termine da intendersi in senso univocamente culturale, come spiega l’autrice – è tornata ad essere centrale nel 2020, dopo l’omicidio di George Floyd e le manifestazioni di Black Lives Matter. Tuttavia, i dibattiti si sono concentrati, finora, su cosa significhi essere neri in America, dato che l’episodio è accaduto negli USA:
«La nostra narrazione mainstream intorno alla questione razziale è ancora neonata, in fin dei conti l’antirazzismo è un fenomeno recente se comparato alle basi storiche del razzismo. Si ispira moltissimo al movimento antirazzista americano, senza tenere conto delle specificità della nostra società.»
L’unica persona nera nella stanza ha invece il pregio di raccontare in che modo il colore della pelle sia ancora un metro di discriminazione in Italia – la nazione che abitiamo oggi e, probabilmente, abiteremo nel prossimo futuro. È per tale motivo che un libro come quello di Nadeesha Uyangoda si rivela illuminante: perché ci consente di osservare il mondo da una prospettiva che non è nostra, ma di altri – un compagno di scuola, un vicino di casa.
La nostra società è ormai talmente multietnica che il confronto non solo è inevitabile, ma è anche necessario; al tempo stesso, non è detto che possediamo tutti gli strumenti per affrontarlo al meglio. La letteratura, da questo punto di vista, è la migliore arma possibile: ci costringe ad uscire dai nostri schemi per entrare in quelli di chi ci sta accanto, in un esercizio instancabile di empatia e comprensione. L’unica persona nera nella stanza fa esattamente questo.
«La razza, una cosa che esiste e non esiste allo stesso tempo, è l’elemento che più ha definito la mia esistenza. Io sono la mia pelle, i miei capelli, il mio nome, sono le tradizioni dei miei genitori. Ho sfregato via quanto di me era possibile, eppure la razza è rimasta con me – nel mio passaporto che sembrava non superare mai i controlli d’ingresso in aeroporto, nelle ispezioni “casuali” oltre le casse automatiche dei supermercati, nel tu dell’impiegato di banca che ritornava al lei col cliente successivo. La maggior parte delle persone bianche, al contrario, vive la propria vita come se la razza fosse qualcosa di invisibile, irreale persino. Le persone bianche guardano la televisione, sfogliano libri e giornali, si presentano a colloqui senza doversi mai preoccupare della razza – perché la loro pelle, i loro capelli, i loro nomi, la loro cultura sono lo standard. Questo libro è nato dalle esperienze che ho raccolto quando ho smesso di fuggire dalla razza.»
a cura di Rebecca Molea