Lingua madre di Maddalena Fingerle: quando le parole si sporcano e ti vengono a cercare. Recensione
Le parole non sono mai neutre: si portano addosso l’odore delle cose che indicano, il disprezzo di chi le usa per ferire, la paura di chi non riesce a tirarle fuori o il colore del paesaggio che ci sta intorno. È per questo che, a volte, possono sporcarsi e diventare nemiche, proprio come accade a Paolo Prescher, il protagonista dell’esordio di Maddalena Fingerle per Italo Svevo Edizioni , Lingua Madre, che lo scorso anno si è aggiudicato il Premio Calvino.
Lingua madre di Maddalena Fingerle: la trama del libro
Lingua madre è ambientato a Bolzano, uno di quei posti che si tiene in equilibrio tra due identità diverse: quella italiana e quella tedesca. Paolo vi è cresciuto sapendo che, prima o poi, dovrà scegliere quale lingua parlare, se vorrà avere un lavoro, ma questo gioco di appartenenze sembra piacere a tutti tranne che a lui. Con la lingua, infatti, non si scherza, lui lo sa, è la cosa più importante che abbiamo: può abbellire il mondo o distruggerlo per sempre, può avvelenare o purgare – è tutta una questione di associazioni mentali, di connotazioni, di ricordi che si sono impigliati tra una lettera e l’altra.
«Le parole pulite sono così: dici una cosa e intendi quella cosa, sono vere e limpide, non ci sono associazioni mentali che le rovinano, che le macchiano o che le sporcano.»
Il padre di Paolo si chiama Biagio, e a lui le parole le hanno sporcate così tanto che alla fine ha deciso di diventare muto. I medici la chiamano afasia, ma Paolo lo sa che è tutta colpa della madre, dei suoi litigi continui, dei pianti isterici e di quel modo superficiale con cui usa le parole e le manipola. È per questo che, quando Biagio muore, lui decide di partire per Berlino e abbandonare l’italiano per il tedesco. Forse, così, potrà salvarsi dalle parole sporche che lo assediano.
Un romanzo dal sapore dolceamaro
Il viaggio che Paolo intraprende assomiglia moltissimo a quello de Il giovane Holden, così insofferente verso il conformismo, il mondo degli adulti, le etichette. Entrambi scappano da un mondo che disprezzano; entrambi, nel farlo, assumono quel piglio sarcastico e disincantato di chi si trova in quella fase di passaggio dove tutto è ancora da decidersi. Il tono di Paolo è scanzonato, e a volte tradisce ingenuità: durante la lettura è difficile non affezionarcisi e provare, insieme a lui, la stessa irritazione verso chi è davvero convinto che sia soltanto un ragazzo «speciale». Eppure, ogni tanto, tra le righe, fa capolino anche una certa malinconia, un senso di solitudine invalicabile e abbandono. Paolo ha capito troppo, di questa vita che dovrebbe essergli ancora sconosciuta, e allo stesso tempo non ha provato abbastanza: non sa che sapore abbiano le labbra di una ragazza, cosa significhi avere accanto qualcuno che sappia prendersi cura di te o come ci si comporti tra amici. È bambino e adulto, italiano e tedesco: sempre a metà, sempre in bilico; un po’ come gli altri personaggi salingeriani, insoddisfatti e incapaci di comunicare, soli anche quando sono in compagnia.
Un racconto intriso di umanità
Lingua madre è un romanzo di ossimori: commuove, diverte, irrita, intenerisce. A volte terrorizza anche: quando le parole ti vengono addosso come una valanga, per esempio, e sembra di soffocare, di perdere l’orientamento, di perdersi per sempre:
«Erbe olfo facciamo blaun basta prego buono mettiti calzetti prendi freddo Regen prezzi appartamenti peggio Milano città calda Italia facciamo blaun montagne bilingui parchetto tu devi morire zweisprachig che castrone stazione schlimmer extracomunitari Kuhn blaun Erbe»
Da questa storia non è possibile uscire illesi, e forse è meglio così, perché, come diceva Franz Kafka: «Ciò di cui abbiamo bisogno sono quei libri che ci piombano addosso come la sfortuna, che ci perturbano profondamente come la morte di qualcuno che amiamo più di noi stessi, come un suicidio. Un libro deve essere un’ascia per rompere il mare di ghiaccio che è dentro di noi».
a cura di Rebecca Molea