“L’indignata” di Giuliana Zeppegno è un giallo ambientato durante le proteste spagnole della Madrid degli indignados

 “L’indignata” di Giuliana Zeppegno è un giallo ambientato durante le proteste spagnole della Madrid degli indignados

L’indignata (TerraRossa edizioni, 2024), secondo romanzo di Giuliana Zeppegno, è molte cose. Innanzitutto è un romanzo coinvolgente in grado di trasportare il lettore negli ambienti delle proteste spagnole tra gli anni 2011 e 2014, nel cuore della Madrid degli indignados. In secondo luogo, è un giallo che procede con un ritmo sostenuto e sostenuto da un perfetto congegno narrativo attorno al mistero di una scomparsa, tra piste vere e false e svolte della trama. Infine, è anche, e soprattutto, una riflessione corale sul senso dell’impegno civile e sulle mille, complicate intersezioni tra il personale e il politico.

L’indignata di Giuliana Zeppegno: la trama del libro

Il romanzo ha inizio con la scomparsa di Teresa, figura combattiva e anticonformista che gestisce un piccolo locale alla mano nel quartiere di Lavapies: il Babel. Attorno al bar, punto di ritrovo per i membri di collettivi anarchici, gruppi di consumo e assemblee femministe, gravitano gli altri tre protagonisti della storia: Giulia, un’italiana trapiantata a Madrid, Andrés l’uomo tuttofare che tutti chiamano quando c’è bisogno di una mano, e David, un giovane universitario, con un dottorato a metà, da poco tornato dal Perù. L’improvvisa sparizione di Teresa li mette in allarme innescando un percorso a ostacoli sulle tracce dell’amica. Chiederanno notizie ai compagni di lotta, proveranno a mettersi in contatto con la famiglia e inseguiranno la pista di una vecchia relazione che li porterà fino a Cadice. La ricerca si dipana intervallata dai flashback e dalle vicende personali di Giulia, Andrés e David che rappresentano tre volti di una stessa inquietudine, tre caratteri diversi e, anche, tre modi di stare nei movimenti sociali. Ciascuno di loro incrocia la storia di Teresa con la propria, facendo emergere fragilità, dubbi e ferite del passato.

La polifonia come chiave narrativa per raccontare i movimenti

L’intersezione tra le voci dei tre protagonisti riempie lo spazio narrativo di una riflessività soggettiva e sfaccettata capace di mettere a fuoco, con la stessa efficacia, sia gli eventi storici collettivi (come le grandi manifestazioni davanti alla sede del parlamento o i processi ai militanti arrestati dalla polizia), sia scene più intime, alcune delle quali indimenticabili come il salvataggio e l’accudimento di un rondone da parte dei clienti del Babel; scene che parlano della quotidianità dei quartieri, degli spazi assembleari, della vita di Giulia, Andrés e David e di altrettanti ragazzi e ragazze che hanno reso la rivendicazione politica una scelta di vita.

Questo modo di procedere a più voci, che combina il racconto in prima persona di David, con la seconda persona di Giulia e la terza di Andrés, crea un gioco di sguardi che accentua l’impressione di una verità molteplice situata nell’incastro tra i diversi punti d’osservazione. La narrazione abbonda di conversazioni infervorate, di annotazioni personali su taccuini e diari, di scambi tra i personaggi: altrettante strategie narrative per dare vita ai dilemmi di ciascuno sui grandi temi del femminismo, dell’ecologia e dell’assemblearismo. Si parla del senso delle lotte politiche, ma anche di quanto sia difficile dover fare i conti con le proprie contraddizioni, coniugando convinzioni ed entusiasmi con una dimensione di fragilità e precarietà di vita.

Buona parte della forza evocativa di questo romanzo risiede nella capacità di mettere in dialogo il collettivo con l’individuale, il politico con il personale, il rigore della ricostruzione storica con una vicenda d’invenzione che, tuttavia, risulta credibile e radicata in un’ambientazione perfettamente riuscita.

Lo stile di Giuliana Zeppegno in L’indignata

Uno degli aspetti stilisticamente più interessanti di questo testo è l’inserimento di una serie di istantanee animate che raccontano la città di Madrid e i suoi abitanti: il mercato della Cebada all’alba transitato da scaricatori, fruttivendoli e qualche indigente, il percorso dei netturbini tra le strade di Lavapiés, la piazza di Tirso de Molina con la sua umanità variegata e gli edifici imponenti di Ciudad Universitaria.

Questi momenti descrittivi che mettono in pausa, per un attimo, lo sviluppo della trama hanno una funzione fondamentale: contribuiscono ad ampliare il perimetro del noi che fa da soggetto della scrittura. Entrano così in scena lavoratori precari, senza tetto, pensionati, studenti, migranti, madrileni delle periferie impoverite; uomini e donne sabotati dal sistema e consumati dalla contrazione dell’economia spagnola.

A livello di stile, risulta stimolante anche la costruzione di una lingua ibrida che vira spesso verso lo spagnolo nelle interiezioni e nei termini colloquiali; una lingua duttile, ora ricercata, ora plasmata sull’oralità, ora capace di adattarsi alla frammentazione di una scrittura per appunti in agende e bigliettini, in un processo di sperimentazione in grado di ricreare i pensieri tortuosi di chi abita e attraversa la crisi (crisi personale, ma anche crisi di una società intera che fatica a ripensarsi).

In definitiva, Giuliana Zeppegno ha scritto un romanzo ambizioso in grado di interpellare profondamente il lettore grazie a una prospettiva di ampio respiro. Vi si ritrova un ritratto onesto, non nostalgico, dei movimenti assembleari e che risuona nella memoria di chi ha vissuto le manifestazioni, le occupazioni, la solidarietà, le utopie, ma anche le frustrazioni, gli sgomberi e le delusioni politiche dei primi anni Duemila. Un libro polifonico che grazie a un soggetto narrativo amplio, questo “noi allargato” dai contorni volutamente sfilacciati, restituisce l’impressione di accogliere e allo stesso tempo di rimanere in ascolto.

 

A cura di Annalisa Maitilasso

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