L’incanto del pesce luna di Ade Zeno: il fascino di un male incantato. Recensione libro

 L’incanto del pesce luna di Ade Zeno: il fascino di un male incantato. Recensione libro

Lo hanno definito visionario, grottesco, inusuale. È rientrato nella finale del Premio Campiello 2020 ed è una delle novità più spiazzanti degli ultimi mesi. Si tratta de L’incanto del pesce luna, di Ade Zeno, un romanzo breve ma tagliente che si interroga sulla natura umana e le sue perverse ossessioni.

L’incanto del pesce luna: la trama del libro di Ade Zeno

Gonzalo è un intellettuale squattrinato: ha conseguito un dottorato in Letterature Comparate e tentato invano la carriera universitaria, prima di ripiegare su un’occupazione al Tempio Crematorio. Questo lavoro un po’ bizzarro gli cala a pennello: Gonzalo sa mostrarsi empatico, delicato, professionale, capace di esorcizzare la realtà più dolorosa scegliendo la musica giusta, l’abbigliamento corretto. La sua vita conquista pian piano un equilibrio ordinario, cadenzato, anche grazie alla presenza di Gloria, la sua fidanzata, e all’arrivo dell’incantevole Inès, la loro bambina. Sembra di vivere un incanto, una magia – e infatti Gonzalo intreccia, durante serate casalinghe, fiabe e mondi fatati dove fanno capolino personaggi onirici, sopra le righe. Tra queste c’è anche quella del pesce luna, la preferita di Inès: la storia di un re che insegue un animale fantastico attraverso le pareti di un sogno. È a questo racconto che Gonzalo penserà quando la sua bambina, improvvisamente, andrà in coma, vittima di una malattia che i dottori non sanno gestire. In quella storia sembra trovare un antidoto al dolore, una speranza:

Chiudi gli occhi, lasciati addormentare. E una volta arrivato nel cuore del regno delle chimere, cercami, ti aspetterò […] Potrei non riuscire a trovarti, sussurrò il re. Mi troverai. E nell’incanto del nostro viaggio potremo spazzare via la tristezza una volta per tutte e ricostruire ogni pezzetto del nuovo mondo.

È in quei giorni difficili che arriva la proposta da Malaguti, uno sconosciuto che sembra aver osservato per mesi Gonzalo: si tratta di un incarico segreto, che ha a che fare con una Famiglia, una sorta di tribù influente del luogo. Bisogna fornire del cibo alla Signorina Marisòl, l’anziana signora a capo del gruppo, ormai stanca e debole. Ma il cibo di cui si parla non si trova al supermercato e ha a che fare con qualcosa di mostruoso: Marisòl vuole carne umana.

Gonzalo accetta la proposta, quasi sorprendentemente: ha bisogno di soldi, deve tenere in vita Inès e deve farlo in un luogo che sappia prendersene cura. Il lavoro è difficile, obbrobrioso: ribalterà gli equilibri e lo isolerà da tutti. Ma in quel momento sembra l’unica risorsa, l’unica possibilità.

La banalità del male e la fame

L’incanto del pesce luna pone così tutte le premesse per essere un romanzo che scorre sul filo dell’orrore, alternando crudezza a disperazione. Ade Zeno indaga quel limite sottile che separa l’umanità dalla mostruosità, con occhio lucido, affilato, senza fare sconti a nessuno. E nel farlo non scade in descrizioni ostentatamente violente o raccapriccianti, ma si concentra piuttosto su quel male subdolo, sottile, che si insinua nelle carni e nelle ossa e diventa un compagno ossessivo, agghiacciante e silenzioso. Gonzalo non è, apparentemente, un mostro, non come lo è Marisòl: la sua missione è guidata piuttosto da un male banale – nel senso harendtiano del termine – e cioè impiegatizio, ordinario. Eppure tra lui e l’anziana signora sembra emergere una sottile continuità:

Ricordi quello che ti ho detto a proposito della fame, quella malattia che vive dentro di noi e non conosce pace? Ecco, in realtà non è uguale per tutti, la sua natura è mutevole […] se a suo tempo ho voluto sceglierti come collaboratore, è perché l’essenza della tua fame mi sembrava identica alla mia.

Ci si potrebbe chiedere se alla base di questo romanzo non ci sia quella massima, di biblica memoria, per cui il cuore è insanabilmente maligno, ingannevole sopra di ogni altra cosa. Questa storia infatti non lascia scampo a nessuno, anche quando ci illude che ci sia qualcosa da salvare. Il male si allarga, a macchia d’olio, infetta anche i sentimenti più puri e scorre al di sotto delle vicende, forse unico motore dell’azione. E a guidare il tutto c’è anche l’ossessione – la fame: avidità, brama di potere, voglia di riscatto, desiderio di conoscere. Questa fame, che investe ogni personaggio è corrosiva: è l’ambizione a diventare dio, ad essere padroni del proprio mondo. E se questo romanzo non avesse dichiarato fin da subito che non c’è alcun dio da cercare, avremmo sicuramente potuto chiamare in causa l’inferno: quello contemporaneo e terrestre dei viventi.

La dolcezza dell’incanto che strega

A controbilanciare questa indagine cruda e spietata c’è la dolcezza dell’incanto, del sogno. Gonzalo oscilla continuamente tra il mostro che soffoca e il padre amorevole, sopraffatto dagli eventi, che farebbe qualsiasi cosa per la sua bambina. La sua tenerezza emerge nei racconti passati, nel rito quotidiano di cullare Inès con la musica che proviene da un piccolo apparecchietto portatile. Ed è anche questa apparenza inerme, che fa capolino di tanto in tanto, a rendere ancora più incisivo il racconto. Perché Gonzalo è un uomo comune, un everyman contemporaneo, un Don Abbondio che si macchia del male per in-azione e appartiene, più di ogni altro, alla zona grigia di cui parla Primo Levi:

È una zona grigia, dai contorni mal definiti, che insieme separa e congiunge i due campi dei padroni e dei servi. Possiede una struttura interna incredibilmente complicata, e alberga in sé quanto basta per confondere il nostro potere di giudicare.

Il male che lo intrappola è un male stregato, è un’ipnosi da cui non riesce a risvegliarsi. E difatti tutto il romanzo è immerso in un’aura onirica, fiabesca e surreale. Ma questa storia in realtà ci riguarda tutti, e riguarda soprattutto la realtà concreta: perché smaschera le menzogne, contraddice l’apparenza e spiazza tutti, persino noi lettori, che non sappiamo più a cosa credere.

Una volta arrivati non si saprà più niente di me, di noi. Saremo solo il ricordo di un incanto, segreti che nessuno conoscerà.

 

a cura di Rebecca Molea

Rebecca Molea

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