Lezioni italiane di José Saramago: lo sguardo di un premio Nobel su letteratura, Storia e attualità. Recensione
Lezioni italiane è un volume che raccoglie la serie di conferenze, seminari e incontri che José Saramago tenne nell’arco di un ventennio – dal 1989 al 2003 – presso gli atenei di numerose città italiane. Il libro, pubblicato dalla casa editrice La Nuova Frontiera (2022) all’interno della collana Liberamente e tradotto da Marta Silvetti, è uscito in occasione del centenario della nascita dello scrittore portoghese (16 novembre 2022), assegnatario nel 1995 del premio Camões, omaggio letterario nazionale agli scrittori di lingua portoghese, e nel 1998 del Nobel per la letteratura, che lo ha reso in poco tempo, anche grazie al suo costante impegno civile e intellettuale, un punto di riferimento su scala globale. Se da una parte l’Italia ha sempre riconosciuto la magistrale attività letteraria di questo autore, invitandolo spesso a partecipare a convegni e conferenze, e attribuendogli ben tre lauree ad honoris (dall’università di Torino nel 1990, di Roma Tre nel 2001 e di Siena nel 2002); da parte sua, Saramago ha mantenuto con il nostro Paese uno stretto legame di affetto e gratitudine, oltre che di reciproca ammirazione, omaggiandone più volte la bellezza, e considerandolo «la prima delle sue altre patrie».
Lezioni italiane di José Saramago: contenuti del libro
La raccolta si compone della breve biografia dell’autore, da lui redatta e aggiornata periodicamente fino al 2008, e, a seguire, dalle cosiddette «lezioni italiane», ovvero la trascrizione delle dieci conferenze tenute da Saramago in Italia, alcune delle quali inedite fino a questo momento, e la cui disposizione all’interno del volume è rimasta fedele all’ordine cronologico in cui i testi sono stati pubblicati per la prima volta in Italia. L’insieme di questi discorsi offre uno sguardo d’interpretazione e di approfondimento riguardo i temi e le preoccupazioni che permeano trasversalmente tutte le opere dell’autore, e che mantengono come principale focus la Storia, la letteratura, l’impegno politico e l’arte. Saramago è consapevole del fatto che i suoi libri, come i suoi discorsi pubblici, rappresentano un’occasione, oltre che un mezzo, per parlare di sé e dei problemi che gli stanno più a cuore. Le sue parole hanno il potere di tradursi sempre in un invito appassionato a riflettere sugli stessi interrogativi che lui stesso si pone e che hanno portata e valore universali, perché inerenti all’uomo e all’umanità intera.
L’inscindibile rapporto fra vita e letteratura
Anteporre la biografia dell’autore alla lettura delle sue conferenze ha certamente lo scopo, in primo luogo, di inquadrare cronologicamente le principali vicende personali e le opere che hanno punteggiato la sua vita e carriera di letterato, traduttore, produttore editoriale, giornalista, ma anche di fabbro e disegnatore in principio; come pure di consentire al lettore di individuare la radice profonda di temi cruciali che ricorrono spesso durante questi discorsi, e più in generale in tutta la sua produzione letteraria. Molti di questi, infatti, rivelano un intimo legame con il contesto familiare in cui Saramago è nato e cresciuto, e con avvenimenti che risalgono alla sua primissima giovinezza, come: il problema dell’identità e del riconoscimento, ad esempio, dovuto a una serie di equivoci durante la sua registrazione all’anagrafe dopo la nascita. L’indigente situazione economica della famiglia – essendo figlio di «contadini senza terra» – si dimostra, invece, il principale movente della sua attenzione verso il lato più umile e in ombra della Storia e della società («rifletto e scrivo di persone comuni perché è questa la gente che conosco»: dalla conferenza Dalla statua alla pietra, 1990). Inoltre, la sua formazione, avvenuta all’interno di un ambiente prevalentemente femminile, ha contribuito a plasmare nel suo immaginario di scrittore una figura di donna dal potere salvifico e trasformatore, la cui presenza si rivela fondamentale nella risoluzione di alcune delle storie narrate, come nel caso di Cecità e Memoriale del convento («il fatto di essere stato allevato da donne, di essere sempre vissuto e cresciuto tra donne, ha permesso, in definitiva, che imparassi da loro cosa sia veramente benefico, non in senso utilitaristico, ma in profondità e umanità», da Dalla statua alla pietra, 1990).Vita e letteratura riflettono un rapporto osmotico e inscindibile, svelandone così la loro reciproca, meravigliosa, interdipendenza.
I maggiori temi delle dieci lezioni italiane di Saramago
Oltre a quelli appena accennati, altri temi indagati dall’autore nel corso delle sue conferenze in Italia sono indubbiamente: la riflessione sulla natura e sulla genesi del romanzo (Dal canto al romanzo, dal romanzo al canto, 1989); il profondo rapporto fra Storia e narrazione (Storia e narrazione, 1990); l’interesse dei giovani per l’impegno politico (A proposito di un «apunte» di Juan de Mairena, 2003); le collaborazioni con artisti contemporanei (Dal «Memoriale del Convento» di Josè Saramago alla «Blimunda» di Azio Corghi, 1991); lo scorrere del tempo e l’impossibilità di giungere a una sola «verità storica» (Dalla statua alla pietra, 1999); la difesa e il rispetto dei diritti umani (Il Diritto e le campane, 2000); la speculazione sull’esistenza reale o fittizia di alcuni eteronimi della letteratura (Alcune prove della reale esistenza di Herbert Quain, 2006); la memoria e l’oblio («Dimenticare»: il «buco nero» della galassia umana, 2002); l’allegoria come espediente narrativo della comunicazione scritta (Dall’allegoria come genere all’allegoria come necessità, 2003).
Nelle prime lezioni, letteratura e Storia rappresentano gli argomenti centrali attorno ai quali orbitano le riflessioni dell’autore. Saramago sostiene la tesi che «omerizzare» il romanzo, farne cioè nuovamente canto dell’umanità, è di fatto quasi impossibile, oltre che anacronistico. Il romanzo potrebbe ritornare al canto primordiale dei nostri avi verosimilmente nella forma, ma soltanto in modo rinnovato, trasformato, poiché l’artefice non risponderebbe più a una «necessità autentica», sia sul piano della creazione sia su quello della fruizione. In questo viaggio di ritorno alle origini, all’estremo opposto dell’arco di una circonferenza immaginaria, «il pendolo presumibilmente ritroverà e riconoscerà, passo dopo passo, l’identità romanzesca percepibile nelle narrazioni che conosciamo del passato, e allo stesso tempo si lascerà dietro la traccia di un’alterità coincidente».
Lo stesso tentativo di riscrittura e ricostruzione della Storia e del passato dell’umanità, quell’immenso tempo perduto e informe, risulta infattibile. Motivo per il quale, secondo Saramago, il romanziere agisce «correggendo» la Storia adattandola alle proprie esigenze narrative, senza falsificarne i fatti, ma operando una selezione, condizionato, consapevolmente o meno, dalle proprie ideologie e dalla propria cultura di appartenenza. La Storia, pertanto, si pone a sostegno dell’immaginazione come può esserlo, metaforicamente, il bastone per un cieco. Per questo motivo non esistono «verità assolute» poiché la Storia riflette, seppur parzialmente, la visione soggettiva di chi la riporta. Il compito che il narratore dovrebbe proporsi è di rischiarare le zone tenute più in ombra nel processo di ricostruzione della Storia ufficiale. Saramago stesso rifiuta l’etichetta che gli è stata attribuita di romanziere storico, ponendo(si) apertamente le seguenti domande: quand’è che si può iniziare a parlare di Storia? Quanti anni devono essere trascorsi affinché quel dato periodo storico entri a far parte di quella che chiamiamo «Storia»? Quale è il confine che separa il Passato dal Presente, la Storia dall’Attualità?
La conclusione alla quale giunge lo scrittore portoghese è che il romanzo, come la Storia, condividono in fondo lo stesso obiettivo: la conoscenza di sé, dal momento che il tempo, anche quello perduto che non siamo in grado di trattenere, rappresenta tuttavia una parte di noi stessi. Storia e romanzo esprimono entrambe infatti le stesse inquietudini dell’uomo.
Una nuova prospettiva di interpretare la realtà
Il discorso Dalla statua alla pietra, pronunciato all’università di Torino in occasione del convegno Dialogo sulla scrittura portoghese, rappresenta la chiave di volta all’interno di questo corpus di conferenze, occupando peraltro una posizione mediana, per contenuto e collocazione. Qui Saramago affronta la sua evoluzione nel mestiere della scrittura, evidenziando un cambiamento decisivo che si riflette nei temi trattati (tanto nelle sue opere quanto nei successivi convegni) e nell’acquisizione di una nuova prospettiva. Se infatti, spiega, in una prima fase della sua carriera letteraria, vi era una tendenza ad approfondire i temi della Storia e dell’identità collettiva portoghesi; nella seconda, dalla pubblicazione del Vangelo secondo Gesù Cristo in poi databile a poco tempo prima di ricevere il Nobel, sono ravvisabili temi più filosofici che fanno dell’essere umano la propria materia principe: un avventurarsi «dal plurale al singolare», un passaggio, proprio come espresso nel titolo, dalla statua alla pietra. Da questo momento in poi, infatti, si conclude metaforicamente la «statua» e la sua descrizione della superficie, in nome di un ideale più alto: quello di fare breccia nella pietra, entrare dentro la materia oscura dell’essere, fare dell’essere umano la priorità assoluta del suo lavoro di ricerca di scrittore.
Nel romanzo Cecità, ad esempio, indagherà gli aspetti più spietati e crudeli della natura umana, dipingendo un mondo indefinito (nello spazio e nel tempo) e reale insieme, facendo leva sull’allegoria come strumento di comunicazione e di interpretazione delle società umane. Come spiegherà nel discorso Dall’allegoria come genere all’allegoria come necessità, il compito del romanzo deve essere quello di riflettere e far riflettere, e a tal fine l’uso stesso dell’allegoria, per amplificare la sensazione di realtà, può rappresentare uno strumento utile al servizio della narrazione. Come affermato in questa ultima conferenza, Saramago auspica a una conversione del romanzo in uno spazio «aperto» di riflessione, che non si limiti alla narrazione didascalica dei fatti (funzione alla quale provvedono anche i giornali, e prima ancora il romanzo verista), ma una forma di romanzo più versatile e fluida, in grado di accogliere in sé temi di un certo impegno e valore, e generi quali il saggio, la filosofia, la scienza, il teatro e la poesia. Come i poemi omerici, l’autore, attraverso le sue opere, deve elevarsi a portavoce di una visione universale, in grado di accogliere in sé tutte le complessità del reale e del presente.
La scrittura di José Saramago in Lezioni italiane
La scrittura di Saramago fa leva sulla potenza della comunicazione orale che caratterizza in un primo momento la formulazione, letteralmente in divenire, di questi discorsi. Nonostante la complessità di alcuni temi, i ragionamenti esposti risultano chiari e accessibili a qualsiasi pubblico, proprio per il fatto che l’intento dell’autore nasce da un appassionato desiderio di comunicare e plasmare (con accezione soltanto positiva) le menti di chi ascolta (e legge), specialmente quelle dei giovani studenti che sono i principali astanti ai suoi convegni. L’uso copioso di metafore rende inoltre il suo compito diremmo anche di «educatore», oltre che di scrittore, ancora più efficace, illuminando, senza troppi giri di parole e indecifrabili elucubrazioni mentali e intellettualistiche, il centro delle questioni che animano il suo intenso fervore intellettuale, politico e artistico.
A cura di Clara Frasca