Lei che non tocca mai terra di Andrea Donaera: il canto sommesso dei sopravvissuti. Recensione
È tutto nero nel nuovo romanzo di Andrea Donaera: nero e grigio, con una musica sorda che si avverte in sottofondo e scandisce un tempo che ritorna, sempre uguale, a chiedere il conto di peccati rimasti inconfessati. Lei che non tocca mai terra – da poco pubblicato da NN Editore – è la storia di Miriam, una ragazza in coma, e di una redenzione che si realizza attraverso il ritmo serrato delle parole, che scavano affannosamente nelle tenebre per strappare uno scampolo di vita.
Lei che non tocca mai terra: la trama del libro di Andrea Donaera
La narrazione inizia in medias res, con un «ti ricordi» destinato a perdersi nel silenzio di una stanza d’ospedale. È Andrea a pronunciarlo, che ha conosciuto Miriam poco tempo prima, in un bar, quasi per caso, non sapendo che quella ragazza gli avrebbe cambiato la vita per sempre: l’avrebbe presa nelle mani per restituirgliela diversa – centrata. Le sue parole assomigliano a un canto d’amore sommesso, capace di oltrepassare il confine che separa il mondo dei vivi da quello dei morti, come nel mito di Orfeo:
«Quando ti sveglierai […] prenderemo i biglietti, saremo eccitati e confusi, ci prepareremo per mesi, sceglieremo su internet gli itinerari che ti piacciono di più. E quando arriveremo lì sarà tutto diverso da come ce l’eravamo immaginato, e tu mi dirai che va bene così, che è più bello se le cose che succedono sono diverse da come ce le siamo immaginate. E io ti dirò che non me l’ero mai immaginata una persona come te, e che quindi hai ragione, che così è più bello. […] e tu sorriderai, e non saremo mai stati così lontani da qui, da questo posto e da queste persone, da questo letto e da questo nero che ci ingoia»
Oltre ad Andrea, attorno a Miriam c’è una rete di personaggi che le sono in qualche modo legati: Gabry, l’amica di sempre che è ormai vinta dai rimorsi; Mara, la madre, il cui nome ha il senso di un destino; il padre Lucio e un prete dal profilo ombroso, vago, segnato dai suoi esorcismi. Tutti – o quasi – raccontano, tenendo vivo il filo della memoria; vomitano rimpianti e paure, perdendosi nei ricordi che credevano di aver seppellito e che invece riemergono più spigolosi di prima. Sembra di trovarsi di fronte a un rigurgito interiore, a una fiumana che non si arresta: la vita trabocca e, con lei, anche la morte.
Un romanzo ipnotico
Lei che non tocca mai terra è un romanzo tetro e ipnotico, come il ritmo del tamburo che accompagna la narrazione. È una storia ancestrale, che scava nelle cose che hanno un respiro eterno per dargli forma e sostanza nel presente. C’è un nucleo sacro, indicibile, attorno a cui tutti i personaggi ruotano, e il lettore che vi si avvicina per la prima volta ne rimane ammaliato, quasi fosse sotto a un incantesimo: il racconto lo avvolge come un fumo e lo costringe a una danza cieca che assomiglia a una taranta impazzita.
Una scrittura frenetica
La scrittura di Andrea Donaera alterna la frenesia delirante e ossessiva alla dolcezza di un addio sussurrato. Il ritmo cambia di continuo, e così la lingua, che da rabbiosa e violenta si fa carezza, sospiro, silenzio assoluto: è in questi momenti che si colgono i contorni del non detto, di un mistero che scalpita per imporsi alla luce. Qualcosa sembra risalire dall’abisso, mentre si legge; qualcosa che si fa strada tra le voci delle ombre e serpeggia dietro alla musica incessante e furiosa del tamburo che esorcizza il passato e lo libera dal male.
Lei che non tocca mai terra è il canto dei sopravvissuti e l’apologia dei dannati. Come la grande letteratura, ci ricorda che il Male è dietro la porta. E che il Bene, in fondo, gli assomiglia più di quanto siamo disposti ad ammettere.
Rebecca Molea