L’Africa come non ci è mai stata raccontata: Africana, a cura di Chiara Piaggio e Igiaba Scego. Recensione
Avete mai pensato a quante sfumature esistono nel mondo in cui viviamo? Quante differenze, quanti dettagli, quante zone d’ombra irriducibili a una categoria netta. Sono tantissime. Così tante che ci accontentiamo di narrazioni semplificate o schizzi veloci per avere un’idea di quello che ci circonda. Parigi è l’amore, Napoli il sole; gli Stati Uniti sono la libertà, la Spagna è musica. Pensiamo per stereotipi, per immagini rapide e facili da memorizzare. Tutto quello che resta fuori sembra non esistere. E alla fine, in un certo senso, smette di esistere per davvero.
È per questo motivo che Chiara Piaggio e Igiaba Scego hanno pensato di dare vita ad Africana, un’antologia pubblicata da Feltrinelli: il loro intento è «raccontare il Continente al di là degli stereotipi» – al di là dei bambini smunti che vediamo in televisione, della savana, della «gente nuda, primitiva, premoderna, senza pudore, senza istruzione» a cui le narrazioni scolastiche e mediatiche ci hanno abituati.
Diciannove racconti per decolonizzare lo sguardo
Africana è, innanzitutto, uno strumento di decolonizzazione. Uno sguardo preciso, vivido e appassionato su tutte le contraddizioni di un continente che non potrebbe essere più eterogeneo. C’è la Lagos di Chimamanda Ngozi Adichie, frenetica, pulsante, impossibile da dimenticare; ci sono i sobborghi della Namibia battuti dai ragazzi della «Ronda dei quartieri», che non conoscono «ieri» né «domani», ma solo «oggi»; c’è la nostalgia di casa, del proprio paese, della vita normale interrotta brutalmente quando i nomi di Chi-Chi, Agnethe e Bu-Bu sono comparsi «nell’elenco». Ma c’è anche la storia vera di Aisha, una giocatrice di basket somala che sfida ogni giorno gli estremisti per indossare una tuta e fare canestro insieme alle sue compagne: «farò tutto quello che voglio, tutto quello che loro non vogliono».
Diciannove racconti per diciannove prospettive diverse, ciascuno incorniciato da una breve biografia dell’autore o autrice che la offre. E, al centro del libro, una narrazione per immagini: quella di Pierre – Cristophe Gam, artista con influenze camerunensi e egiziane, che reinterpreta la vicenda cristologica alla luce della storia nigeriana contemporanea.
Un continente ricco di sfumature
Leggere Africana è come aprire gli occhi per la prima volta, come viaggiare in una terra sconosciuta. Una terra che rifiuta di essere solo esotica, conflittuale, povera, sofferente, ancestrale o calorosa, ma che reclama a gran voce la possibilità di essere riconosciuta per ciò che è davvero: uno spettro di sfumature. Non a caso, ad aprire la raccolta è un testo di Binyavanga Wainaina – scrittore keniota e attivista scomparso prematuramente – che, con voce pungente e sarcastica, costruisce un vademecum al contrario su «come scrivere dell’Africa»:
Mettere sempre nel titolo la parola “Africa” o “tenebra” o “safari”. I sottotitoli possono comprendere le parole “Zanzibar”, “Masai”, “Zulu”, “Zambesi”, “Congo”, “Nilo”, “grande”, “cielo”, “ombra”, “tamburi”, “sole” o “passato”. […] Ricordate: di ogni lavoro che presenterete in cui la gente ha un’aria sporca e miserabile si parlerà come della “vera Africa,” ed è questo che volete in copertina, no?
L’Africa di cui parla questo libro, al contrario, è un mosaico di ambienti e storie diverse. Ci sono vite al limite e vite ordinarie, paesaggi naturali e metropoli, ricchi e poveri; c’è la rabbia, la delusione, l’impotenza, ma anche la libertà, il coraggio, il senso di riscatto. Attraversando queste storie si comunica in un’altra lingua, si ride con bocche che non ci appartengono. Si scoprono differenze, somiglianze – umanità condivise. Ed è questo, in fin dei conti, che dovrebbe fare la letteratura: prestarci gli occhi di qualcun altro per scoprire com’è «invece il mondo visto da te» (Brunori Sas, Secondo me).
a cura di Rebecca Molea