Anoressia, autolesionismo e genitorialità maschile: l’altra faccia della gen Z raccontata in “La vita profonda” di Martina Faedda

 Anoressia, autolesionismo e genitorialità maschile: l’altra faccia della gen Z raccontata in “La vita profonda” di Martina Faedda

Martina Faedda, classe 1998, esordisce con La vita profonda (nottetempo, 2024), un libro che nell’era della post-verità e dell’adultizzazione infantile si ribella ai fronzoli e alle apparenze della società, ponendosi come un manifesto attuale e senza filtri di quello che accade nella mente e sul corpo di una ragazza della gen Z che soffre l’assenza, l’ansia da prestazione, l’ossessione di un corpo perfetto. Si tratta di un romanzo di formazione dove l’anoressia e l’autolesionismo vengono raccontati senza giri di parole e la modalità dimostrativa che Faedda adopera con la sua scrittura fa sì che il libro si riveli un documento letterario consultabile sia dai ragazzi di questa generazione per capire gli altri e sé stessi, sia dai loro genitori per entrare nella testa dei figli che comunicano con un linguaggio a loro distante fatto di stories su Instagram ed emoji inviate in chat. Un’analisi precisa di questo concetto è nello stralcio che segue, in cui Faedda descrive l’autolesionismo di Olivia, la protagonista diciottenne del romanzo: «Prese il coltello dal cassetto e andò in bagno. Davanti al lavandino cominciò quel suo rituale salvifico. Premette la lama contro il polso e incise lentamente, profondamente, indugiando su ogni istante di dolore freddo, il braccio un bruciore indistinto. Per lei era come il sesso, un’impazienza smaniosa e atrofizzata che la spingeva a rallentare, per godersi almeno il dolore. Il sangue cominciò a scorrere più copioso del solito. Olivia staccò il coltello, poi procedette con un secondo taglio, quasi uguale, e infine un terzo, un po’ più sotto. Il tempo scorreva e con il tempo scorreva il suo sangue». 

La vita profonda di Martina Faedda: la trama del libro

Olivia ha diciotto anni e vive con due padri: Gioele, genitore biologico, ossessionato dalla forma fisica e dal peso di sua figlia tanto da condurla all’anoressia, e Vittorio, ex compagno della madre (morta quando Olivia aveva solo sei anni) che veste il ruolo di un secondo padre, un tipo diverso da Gioele: Vittorio è più aperto, dinamico, e con lui, Olivia condivide grandi passeggiate in montagna. I tre vivono nella stessa casa, ma Olivia è la moderatrice di uno spazio e di un rapporto che i due padri non condividono: la casa è divisa fra la parte di Gioele e la parte di Vittorio e nessuno dei due invade quella dell’altro. Quando quest’ultimo si ammala di leucemia fulminante, Olivia si sente persa, e il suo disturbo alimentare prende il sopravvento. A darle conforto sono due amici, fratelli gemelli: un ragazzo, a cui si lega sentimentalmente, e la sorella, amica per la pelle, che però sarà il gancio per mettere in discussione l’identità sessuale di Olivia.

Il valore delle terze parti

Se si prende tra le mani una moneta, nell’osservarla si può constatare con stupore che le facce non sono esattamente due come ci hanno sempre fatto credere. Certo, esiste quella frontale e la sua gemella esattamente sul retro. Ne esiste, poi, una terza, di forma diversa, più stretta, quasi impercettibile, che percorre, per tutto il perimetro, le due identiche: le unisce e le divide, fa sì che siano incollate l’una con l’altra, ma che non si tocchino mai, eppure la terza è la più forte: conosce tutto della frontale e dell’opposta, che non sanno l’una dell’altra. Questa è la metafora che veste La vita profonda di Martina Faedda, una vicenda che si snoda lungo la linea del numero tre. 

Due padri più una figlia. Due fratelli gemelli più una donna da amare (diversamente). Tre anime, quelle di Olivia, che si spartiscono tra la vita passata fino a sua madre, quella presente con Gioele e Vittorio e una vita profonda che sta chiusa dentro un sé e non sa più qual è la sua vera identità. 

Lo stile di scrittura di Martina Faedda

La scrittura di Faedda è precisa, con un ottimo lavoro di sintesi. Lucida, come il discorso di un medico alla rivelazione di una diagnosi di un cancro terminale al figlio di un paziente. Violenta e senza sconti, quando deve descrivere nei dettagli quello che succede al corpo di Olivia che si sta consumando tra lesioni e perdita di peso. Pulita e chiara, quando bisogna dire le cose come stanno e spiegare a tutti che la vita è anche perdita incontrollata dei pilastri vitali e di sé stessi. La vita profonda è di facile lettura grazie anche alla struttura adottata in brevi capitoli. C’è spazio anche per l’emotività in questa storia: l’amore, la sensibilità, la cura e l’empatia dell’autrice (che Rivista Blam! conosce bene), spicca tra le righe di un libro che può essere letto adesso, o fra cento anni perché ha anche un valore storico e socio-antropologico. 

 

A cura di Antonella Dilorenzo

Antonella Dilorenzo

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