La raggia di Mattia Grigolo. Esplorare la rabbia scrivendo. Recensione
Pubblicato da Pidgin a giugno 2022, La raggia è il romanzo d’esordio di Mattia Grigolo, fondatore della rivista letteraria «Eterna» e del magazine di approfondimento «Yanez». Già autore di racconti su diverse riviste letterarie (l’abbiamo ospitato anche su Rivista Blam! qui e qui), con la sua opera Grigolo rimane entro il confine della brevità e scrive un romanzo intenso dallo stile essenziale, portando chi legge nei meandri di una mente tormentata, frammentata e, forse, colpevole.
La raggia di Mattia Grigolo: la trama del libro
«Hai tra le mani dei quaderni.
Non sai se li hai trovati
O se ti sono stati donati.
Non sai da chi sono stati scritti.
Contengono dei segreti
Che decidi di leggere partendo dalla fine».
Il protagonista di questa storia non ha nome: esiste solo nella dimensione delle parole che scrive, che sceglie e poi cancella, che riscrive in tre quaderni a quadretti comprati per fissare in un qualche punto della realtà ciò che sta vivendo. È un uomo, probabilmente giovane. Non ha finito la scuola, ma questo non lo allontana dal desiderio di prendere carta e penna e dare consistenza ai suoi pensieri confusi, a una mente frammentata che non è quasi più in grado di distinguere tra ciò che succede dentro e fuori di sé. Nina, la sua ragazza, è morta. La polizia e i pochi amici che il ragazzo ha sospettano che sia stato lui a ucciderla e a gettare il corpo nel fiume, vicino alla casa sgangherata nel bosco in cui vive con un padre che detesta, che non parla e lo picchia. Nina dunque è morta, e una volpe continua a perseguitarlo con la sua presenza. La vede dappertutto, il suo volto è quello della madre, di Nina, di un animale, a volte di sé stesso. La volpe lo guarda e lui sa di essere riconosciuto, scoperto. Lei conosce tutti i suoi segreti. O forse non esiste.
Un protagonista inaffidabile e un diario come testimone
In La raggia, il narratore è uno di quei protagonisti inaffidabili di cui la letteratura è ricca, ma in questo caso Grigolo non offre chiavi di lettura che permettano di comprendere gli eventi in maniera completa, oggettiva. Non esistono in questa storia altri punti di vista sulle stesse vicende che aiutino chi legge ad arrivare alla verità: l’unica prospettiva è quella del ragazzo. Uno sguardo parziale, tormentato da una colpa reale o immaginata, ossessionato da fantasmi che continuamente appaiono nel ristrettissimo mondo che frequenta. Anche di questo è fatta la rabbia che il giovane prova così spesso e di cui raramente riesce a liberarsi: una vita ai margini della società e quasi del tutto priva di affetti, l’urgenza di dare voce alle proprie paure, al proprio dolore.
«Era meglio che non nascevo proprio. Mi metto e penso che ci sono le cose inutili, che non fanno bene a nessuno e poi ci sono le cose come me che distruggono tutto. Quelle sono le cose che fanno male. Era meglio che mio padre moriva prima di tutti».
La scrittura di Mattia Grigolo in La raggia
«Ho lanciato dei fiori nel fiume.
Fiori da niente che ho trovato sul sentiero, ma li ho lasciati per il ricordo e perché mi sento la colpa. Me la sento sempre addosso che mi gratta e mi parla».
La scrittura di Grigolo affronta la narrazione degli eventi procedendo a ritroso nel tempo, seguendo un ordine che non è strettamente cronologico; in La raggia si parte dell’epilogo e si prosegue in modo volutamente confuso verso l’apparente inizio di tutto. È una scrittura fatta di frasi troppo brevi o troppo lunghe, spezzate o sovrabbondanti; i periodi accolgono parole cancellate e continuamente riscritte: uno stile insomma che anche a livello grafico è in grado di restituire su carta lo stato di profondo disagio psicologico del protagonista.
A cura di Alessia Cito
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