La forma del silenzio: quando le parole trovano la strada giusta nell’assenza. Recensione libro

 La forma del silenzio: quando le parole trovano la strada giusta nell’assenza. Recensione libro

I nostri corpi parlano. Uno sguardo, un gesto bastano a comunicare qualcosa all’altro. Se ci capita poi di voler percepire l’identità individuale di chi ci sta di fronte, basta ascoltare il tono della sua voce, decifrare l’espressione del viso. Metterci la faccia, metterci la voce ci spoglia completamente dei nostri pensieri che vengono trasmessi agli altri, quegli altri che captano un’emozione, che ricevono uno stato d’animo. Ma il corpo, quello parla sempre e non serve emettere suoni. Basta uno sguardo. Un gesto.

Lo sa bene Leo, il bambino protagonista dell’ultimo libro di Stefano Corbetta, La forma del silenzio, che esce oggi per Ponte alle Grazie. Un protagonista che vive nell’ombra di se stesso, di quel silenzio che ascolta e che sa comunicare con la Lingua dei Segni.

La forma del silenzio: trama del libro di Stefano Corbetta

È il 1964, Leo ha sei anni. È sordo dalla nascita. A fare da cornice alla sua vita fatta di silenzi e di suoni sfiorati e mai provati, i genitori e la sorella Anna.

La sua infanzia trascorre tranquilla, sino a quando in una notte d’inverno gelido, Leo non scompare. All’istituto Tarra di Milano – uno dei migliori sul territorio per l’istruzione dei bambini sordi – che Leo frequenta, nessuno ha più notizie del piccolo.  Vengono effettuate numerose ricerche, ma di Leo si perdono le tracce. Passano giorni, mesi, anni. Diciannove anni prima che qualcosa dal passato torni a far sperare per dare una spiegazione alla scomparsa.

Un giorno, a farsi vivo nello studio di Anna, arriva Michele, amico di Leo, poco più grande di lui, che riapre una ferita chiusa solo superficialmente: fornisce alla sorella dei dettagli sulla scomparsa di quel lontano 1964, e lo fa con i “segni nell’aria” quelli della LIS, così vietata al Tarra in favore del rigido metodo dell’Oralismo (i sordi venivano costretti a esprimersi a parole, che spesso non riuscivano ad emettere, piuttosto che comunicare con i segni), quello che anche Leo rifiuta.

Ed è questa la via che porta Anna sulle tracce del fratello. C’è un uomo, qualcuno che sa, qualcuno che ha visto, qualcuno che sapeva del dolore che Leo, a casa, non era riuscito a esprimere. Cosa successe a Leo quella notte? Cosa è successo in questi diciannove anni? E perché Michele ha parlato solo adesso di quell’uomo?

Una storia delicata che trascina il lettore in un giallo sociale che ha tutto il sapore della speranza.

La scrittura di Stefano Corbetta

La narrazione de La forma del silenzio è fatta con il tempo che occorre: lo scorrere delle vicende è delicato, preciso e non invasivo e crea un perfetto parallelismo con la sensibilità dei protagonisti della storia.

L’interpretazione del silenzio, in questo racconto aggraziato, è tutto. Ci fa capire quanto il silenzio possa parlare e si sente, quanto la frenesia delle parole a volte non sia la via giusta per la salvezza nella vita; quanto la lentezza, la riflessione, l’assimilazione del dolore per lungo tempo possa essere la strada giusta verso la comprensione, e che la rassegnazione può lenire le ferite.

Il contesto

Leo è un protagonista assente, silenzioso, ma che è presente. E ciò che fa grande questo libro è la totalità del contesto di cui si parla, quello che gira intorno alle persone con difficoltà. Si parla di Leo, ma si sente il dolore di sua madre, la fragilità di un padre che non ha paura di cadere e mettere la parte la virilità maschile, l’incoscienza di una sorella che rischia pur di conoscere la verità.

La cosa di cui spesso ci si dimentica, per l’appunto, è il contesto in cui vive una persona con delle problematiche. Stefano Corbetta sfiora gentilmente il concetto di depressione e della fragilità umana con una scelta stilistica adatta a trasmettere, in via non diretta, messaggi di sensibilità e comprensione anche per chi satellita attorno alle problematiche, che le vive, ma non le possiede.

Un libro necessario

Spesso ci si dimentica di quanto la comunicazione possa essere fatta in mille maniere che non sia solo la parola emessa con la voce. Spesso ci si dimentica di chi non può ascoltare, non può parlare, bypassando direttamente il problema.

La forma del silenzio è un libro necessario, quello che serviva in questo momento storico di ipercomunicazione, dove il digitale ha esplorato e messo sul campo vari modi per comunicare con l’altro. Ed è questo il momento storico in cui va letto questo libro “lento”, per tornare alla velocità giusta e recuperare chi è rimasto indietro intenzionalmente. Anche coloro che non abbiamo voluto conoscere profondamente: noi stessi.

a cura di Antonella Dilorenzo

 

 

 

Antonella Dilorenzo

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