Il richiamo di Alma di Stelio Mattioni: afferrare il mistero tra le vie di Trieste. Recensione

 Il richiamo di Alma di Stelio Mattioni: afferrare il mistero tra le vie di Trieste. Recensione

Stelio Mattioni, scrittore triestino del secondo Novecento, l’aveva scoperto Roberto Bobi Bazlen: un nome che richiama intere storie e personaggi (Eugenio Montale, forse, più di tutti). Non è un caso allora che questo autore sia stato poi pubblicato Adelphi e apprezzato da voci come Italo Calvino, Claudio Magris, Carlo Bo, al punto da arrivare – con Il richiamo di Alma – in finale al Premio Campiello. Come a volte accade, però, Alma e Mattioni da un certo momento scompaiono dagli scaffali delle librerie e dai quotidiani – e da lì, dell’autore, se ne sono perse le tracce. Cliquot lo ripubblica oggi dopo quarant’anni, convinta che questa storia abbia ancora molto da raccontarci.

Il richiamo di Alma: la trama del libro di Stelio Mattioni

La storia di questo romanzo potrebbe ridursi a poche, semplici righe: un uomo vede una donna da una terrazza, ne rimane stregato e la cerca per la città. Questa città è Triste, e la donna, che poi si scoprirà chiamarsi Alma, è sfuggente come un’ombra, come un’apparizione vaga. Viene naturale chiedersi se questa donna esista davvero o se non sia frutto dell’immaginazione, tanto più che le vicende e i personaggi che le ruotano attorno sembrano altrettanto aerei e misteriosi. Un fotografo, per esempio, dice di aver provato a trattenerla sulla pellicola a lungo, senza riuscirci: quella donna ne veniva ritratta ogni volta in maniera diversa. Il protagonista ascolta sorpreso il racconto, quasi atterrito, eppure capisce bene la sensazione: anche lui non ha mai rivisto Alma alla stessa maniera, se non fosse per un importante anello di pietra nera che porta alle mani. Alma si sottrae di continuo e poi si mostra nuovamente, lascia dei messaggi nei posti più improbabili; quando sembra di poterla possedere lei si ritrae, si incupisce, si rinchiude in un silenzio grigio. Poi scompare, di nuovo, di nuovo e ancora, e Trieste diventa un puzzle da ricomporre, una mappa da investigare per capire a che gioco stia giocando questa donna sfuggente: qual è l’intrico che sta dietro a questa ricerca ossessiva.

Una scrittura memoriale

La scrittura di Stelio Mattioni è una scrittura bianca, coincisa, memoriale: questo racconto è, prima di tutto, un monumentum, nel senso più etimologico del termine. Non solo, quindi, un modo per rendere eterno un ricordo, ma anche un monito al lettore (monere, appunto). Il protagonista inizia il racconto confessando di non aver capito, allora, il senso di quell’avventura, e di capire solo ora. E quindi, con estrema schiettezza, si mette a nudo, come fosse davanti a uno specchio. Racconta di una vita persa, svogliata; di un’adolescenza passata a guardare fuori dalla finestra, invece che a studiare. E offre, al contempo, un ritratto fedele della borghesia triestina, di una famiglia scostante eppure estremamente castrante, incapace di accettare qualcosa di diverso – qualcuno che si sia emancipato dai ritmi soliti dell’abitudine. Non è difficile scorgere, tra le righe del romanzo, un richiamo a quelle movenze tipiche degli scrittori triestini: la lingua asciutta, l’ironia smorzata, il ricorsivo ripresentarsi del tema del sogno. Leggere Il richiamo di Alma è come ascoltare, di nascosto, una conversazione dallo psicanalista – perché questa vicenda, in fondo, ha le stesse movenze di un sogno notturno.

Alma: un’epifania misteriosa

Chi è Alma? Ma soprattutto: cos’è? Qual è il senso del suo apparire e del suo sottrarsi? Perché è legata all’immagine dell’acqua, perché è ossessionata dagli edifici religiosi? Le domande si moltiplicano, durante la lettura, e alla fine questo romanzo diventa una sorta di mistero psicologico, un’inchiesta sul sé e sul proprio stare al mondo. Alma è il motore della storia, l’epifania che sottrae il protagonista al lento e insensato incedere della vita; è una donna carica di simbologia, forse impossibile da ridurre a una sola significanza. È sensualità e purezza; vento travolgente e calma piatta. È un richiamo alla vita, al risveglio, e forse anche il nodo da cui discende ogni cosa. Come Trieste, città di frontiera, segna un confine, un limite esistenziale. E non a caso, Alma non si lascia afferrare: si palesa solo per destare l’immaginazione, per dare vita a una ricerca. Importante non è scovarla, ma averla rincorsa. Un po’ come accade quando leggiamo: il punto non è il finale, ma il viaggio che abbiamo compiuto per arrivarci.

a cura di Rebecca Molea

Rebecca Molea

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