Il primo che passa di Gianluca Nativo: scoprirsi altro in un mondo che respinge la diversità. Recensione libro
Esordio dello scrittore napoletano Gianluca Nativo, Il primo che passa è l’intenso romanzo edito da Mondadori a gennaio 2021. Già autore di racconti pubblicati su alcune tra le più importanti riviste letterarie italiane – Nuovi Argomenti, Inutile, Altri Animali, Nativo dà vita a un racconto potente sulla scoperta della propria identità che passa attraverso il distacco dalla famiglia d’origine, gli amici, la sessualità.
Il primo che passa di Gianluca Nativo: la trama del libro
Pierpaolo – Pierpà per la famiglia e gli amici – vive una vita tranquilla, solitaria: forse un po’ troppo. I suoi genitori lo hanno cresciuto senza fargli mai mancare nulla: addestrato all’eccellenza, studia per diventare medico in una famiglia che lo vuole primo, sempre. Di amici Pierpaolo ne ha, ma con nessuno di loro sviluppa un rapporto veramente significativo: li usa principalmente per non sentirsi solo, trascorre lunghe serate vuote nella vaga ma costante consapevolezza di desiderare qualcosa di più profondo dai rapporti umani che lo circondano, senza sapere cosa fare. In tutto questo, le prime esperienze con l’altro sesso non sono soddisfacenti: Pierpaolo inizia a capire di essere diverso rispetto ai membri del suo gruppo, ma ancora non riesce a spiegare e spiegarsi questa diversità. L’esistenza del giovane uomo trascorre piatta come il mare senza vento fino all’evento che sconvolge la quotidianità e l’intera sua esistenza: il padre, costruttore edile, viene arrestato e posto agli arresti domiciliari. Sorpresa e vergogna per l’accaduto cedono il passo all’opportunità di fare, con e della città, ciò che vuole. Il protagonista inizia così un percorso difficile e non privo di errori alla scoperta della propria identità, sessuale e non solo.
Scoprirsi altro in un mondo che respinge la diversità
Il primo che passa di Gianluca Nativo non è solamente il racconto di un risveglio sessuale, ma anche, e soprattutto, la ricerca affannosa della propria identità in un contesto sociale e culturale che mal sopporta tale diversità, in tutti i sensi. Tra le maggiori ambizioni dei genitori di Pierpaolo vi è infatti l’assoluta necessità di distinguersi rispetto agli altri, rispetto a un “resto della famiglia” percepito come volgare, esagerato, mai abbastanza serio per riuscire a rendere giustizia alla specificità dei Tammaro che sono ricchi, lavoratori, a loro modo raffinati.
Pierpaolo stesso viene addestrato a distinguersi, sempre e comunque, rispetto a tutti gli altri. Si sfinisce di studio alle superiori per poter rimanere costantemente in vetta, e così farà anche una volta approdato alla facoltà di medicina: una scelta, sembra, più dettata dalla volontà di dare soddisfazione ai genitori che da una vocazione personale.
“Secondo mio padre, che in quella terra ci era nato e cresciuto per godere del privilegio, la prima cosa da fare era stare lontano dallo squallore della periferia, anche se erano pur sempre le mie radici. Tutt’al più starsene in alto, nella nostra casa tenuta a lucido da Rafilina […]. Quello che c’era fuori non mi apparteneva, dovevo uscire di casa con gli occhi bassi e rialzarli solo quando scendevo dal vagone del treno che mi portava a Napoli”.
Quando però a emergere sarà la vera diversità di Pierpaolo rispetto a tutti quelli che lo circondano, il ragazzo si ritroverà ben presto solo. All’interno del mondo ristretto nel quale vive, scoprirsi attratto dagli uomini è un passaggio difficile per lui, tanto più se nel farlo mancano punti di riferimento fondamentali, anche solo un’educazione al sentimento e alle emozioni che non ha mai ricevuto nel corso della sua breve vita. Spinto da una forza, una passione, una volontà di riuscire nonostante, il protagonista si sforzerà di mettere a fuoco i suoi desideri calibrando continuamente gli obiettivi, i risultati.
Uno stile asciutto e quasi spoglio per raccontarsi
La spossatezza mentale, la sensazione di confusione trasognata e allo stesso tempo il bisogno divorante di conoscere la propria identità nel mondo sono resi perfettamente nel romanzo dalla scrittura di Nativo, che è asciutta, essenziale, quasi spoglia. Uno dei punti forti de Il primo che passa è dunque la prosa. Non un aggettivo fuori posto nel racconto di Pierpaolo: tutte le parole si incontrano perfettamente e semplicemente. L’autore è in grado di far vivere il protagonista, le sue emozioni e la sua ricerca in frasi che non cedono mai alla sovrabbondanza.
“Le esperienze fondamentali di una vita possono contarsi sulle dita di una mano. Nel dito di poco più di un anno era cambiato tutto. Ero stato capace di concentrare in pochi mesi emozioni che andavano distribuite con calma nel corso di una qualsiasi adolescenza mi ero costruito un’identità senza programma, senza mai riconoscermi in niente se non nelle persone che sfilavano davanti al mio desiderio. Ora che sembrava tutto finito […] mi sorprendeva l’immobilità delle cose. Come se nulla fosse rimasto a testimoniare la rivoluzione avvenuta”.
a cura di Alessia Cito