Il pane perduto di Edith Bruck: nella selva oscura del Novecento. Recensione

 Il pane perduto di Edith Bruck: nella selva oscura del Novecento. Recensione

Il pane perduto di Edith Bruck è uno dei libri scelti nella dozzina finalista del Premio Strega 2021  proposto dal giornalista, ed ex parlamentare, Furio Colombo che l’ha definito un bel libro su una storia atroce.

Il pane perduto di Edith Bruck: la trama del libro

Ungheria, anni ‘40. Edith corre scalza sotto il tiepido sole primaverile, le trecce bionde ondeggiano con lei. Ultima di sei fratelli, è anche la più brava della classe. Un giorno le cose cambiano: mentre torna da scuola dei ragazzi più grandi la canzonano per il fatto di essere ebrea.
Mamma, cosa succede, perché non ci vogliono? Siamo anche noi ungheresi, no?” 

Edith e la sua famiglia devono lasciare la casa appena ristrutturata con tanti sacrifici per approdare in un ghetto, una soluzione provvisoria poiché poco dopo un treno li avrebbe portati ad Auschwitz. 

Sembrava l’esodo dall’Egitto senza un Mosè, senza che apparisse l’eterno, e invece del Mar Rosso si aprirono con un rumore lacerante i vagoni per il bestiame, e la mandria umana venne spinta dentro con violenza

Sopravvivere all’olocausto: un’autobiografia

Edith sopravvive agli orrori dei campi di concentramento nei quali viene spostata: Auschwitz, Dachau, Bergen-Belsen. Attraversa l’inferno sulla terra e ne esce mano nella mano con la sorella. Tornano a casa, ma trovano solo macerie e ostilità. Si ricongiungono con i fratelli, ma non c’è quel calore che immaginavano. Scheletriche, sembrano fantasmi di un altro mondo. Edith raggiunge la sorella in Israele, poi parte con una compagnia di danza. Balla bene, ma vuole scrivere. Nel 1959 viene pubblicato il suo primo libro, Chi ti ama così, nel 1962 la raccolta di racconti Andremo in città. E poi ancora romanzi, poesie e traduzioni. Edith Bruck al primo segnale di improvvisa amnesia ha ricominciato a battere in bianco e nero la sua storia, consegnandoci così la sua personale favola nella selva oscura del Novecento.

Lettera a Dio


Se sono sopravvissuta, avrà pure un senso, no?chiede la Bruck nella sua lettera a Dio, ottant’anni dopo la prima, scritta con il pensiero all’età di nove anni. Se lui è tutto – occhi, orecchie – per quale motivo non ha visto il loro travaglio? Non capiva, la piccola Edith affamata e infreddolita in quel campo di concentramento dimenticato da Dio. E forse non capisce nemmeno ora, perché certe cose non hanno spiegazioni.
Noi non abbiamo né il Purgatorio né il Paradiso, ma l’Inferno l’ho conosciuto, dove il dito di Mengele indicava la sinistra che era il fuoco e la destra l’agonia del lavoro, gli esperimenti e la morte per la fame e il freddo“. 

Tra le domande più comuni che le pongono gli studenti che incontra, c’è il perdono dei propri aguzzini. E allora spiega che un ebreo può perdonare solo se stesso, ma lei non ne è capace perché pensa agli altri annientati: non l’assolverebbero.

a cura di Maria Ducoli

 

Maria Ducoli

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