Il giorno in cui diedi fuoco alla mia casa di Francesca Mattei: una raccolta di racconti sul disfacimento. Recensione

 Il giorno in cui diedi fuoco alla mia casa di Francesca Mattei: una raccolta di racconti sul disfacimento. Recensione

Il giorno in cui diedi fuoco alla mia casa, edito da Pidgin Edizioni a marzo di quest’anno, è l’esordio letterario di Francesca Mattei, la prima penna italiana a essere pubblicata dalla casa editrice partenopea, solitamente orientata alla letteratura straniera. Si tratta qui di una raccolta di 17 racconti, alcuni dei quali già pubblicati sulle riviste letterarie online: SPLIT (la rivista letteraria gestita da Pidgin Edizioni), Narrandom, Malgrado le mosche, Verde Rivista, Voce del Verbo e Clean.

Il giorno in cui diedi fuoco alla mia casa di Francesca Mattei: i tratti comuni del libro

Molteplici sono gli elementi che accomunano i racconti di questa raccolta e che conferiscono all’intera opera uniformità, nonostante si tratti di un raccolta di narrazioni brevi, per sua natura quindi frammentaria. Partiamo col dire che tutti i racconti sono ambientati in una periferia dimenticata, che diventa essa stessa personaggio; questa si fa carico del messaggio che sottende a tutti i racconti della raccolta: il disfacimento, sia esso fisico, familiare, sociale. Che il disfacimento, la distruzione, sia al centro di questo libro è chiaro già dal titolo del libro, dove a giocare un ruolo importante è anche il fuoco che, in quanto tale, si consuma e consuma, esattamente come accade per le cose vive.

I personaggi che abitano le storie di questa raccolta sono tutti orfani di qualcosa, di qualcuno, e se ne vanno in giro monchi. La loro casa – intesa come quella interiore – è una casa bruciata, arsa dal tetto fin giù alle fondamenta dal fuoco disfacitore, ma che è al contempo anche purificatore: lascia che a vivere sia soltanto l’essenziale.

“Mi sono chiesta se le mie ossa, una volta marcita la carne, sarebbero state riconoscibili, se in qualche modo si sarebbero visibilmente distinte da quelle della vecchia signora. I teschi umani si assomigliano tutti e questo è doloroso.”

Segue questa aspirazione all’essenziale anche la scrittura di Francesca Mattei, che fa di uno stile asciutto e privo del superfluo il suo tratto distintivo. La conseguenza è una voce narrante distaccata, fredda anche davanti a situazioni estremamente drammatiche, malinconiche, e che suscitano alienazione, come nel racconto Trappola:

“[…] sbircio mamma che guarda la TV mentre sbuccia le patate. Ha la faccia grigia e i capelli dello stesso colore e io la saluto e la lascio sola in una casa vuota e umida che è come una foresta pluviale o come una pozza di sabbie mobili.”

La distanza, il distacco è parte di tutti i personaggi del libro: nessuno ha davvero voglia di cambiare, di cercare un riscatto; l’importante è in qualche modo continuare a fare qualcosa, a partecipare alle feste, alle serate con gli altri, a ubriacarsi, a drogarsi, a bucarsi la pelle, a strapparsi via le croste, a voler sapere com’è che è fatto lo scheletro che sorregge tutto; disfare il corpo, senza che in questo intento autolesionista vi sia alcuna traccia di tragedia, ma perché tale è lo stato delle cose, perché è la normalità, non ce n’è un’altra; e se un fine c’è, allora è di capire – e forse inconsciamente di sperare – se e in che misura, oltre la carne e il sangue, ci sia ancora qualcosa da salvare.

a cura di Valeria Zangaro

Valeria Zangaro

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