Il cannocchiale del tenente Dumont di Marino Magliani: cronaca di tre giovani disertori francesi in una Liguria assolata. Recensione
Marino Magliani è scrittore e traduttore ligure che vive ormai da tempo in Olanda. Autore prolifico, molti dei suoi romanzi appartengono al genere storico, come anche il più recente Il cannocchiale del tenente Dumont, pubblicato a marzo 2021 per L’orma editore e fra i candidati al premio Strega 2022. A presentarlo è lo scrittore e poeta Giuseppe Conte, che lo definisce non solo un romanzo storico ma «anche un romanzo di paesaggi, e in particolare quelli liguri sono descritti magistralmente con un linguaggio che conserva echi boiniani e biamontiani, di grande suggestione».
Il cannocchiale del tenente Dumont: la trama del libro di Marino Magliani
Il cannocchiale del tenente Dumont è ambientato nel 1800, nel pieno delle campagne napoleoniche. I tre protagonisti – l’ufficiale Lemoine, il tenente Dumont e il soldato basco Urruti – hanno combattuto insieme durante la campagna d’Egitto. Sono stremati, stanchi della guerra e profondamente consapevoli di non avere la vocazione militare che vedono invece in altri colleghi. Per questo e altri motivi, durante la celebre battaglia di Marengo i tre prendono una decisione dalla quale è impossibile tornare indietro: disertare. Dumont, Urruti e Lemoine abbandonano frettolosamente l’esercito e la guerra per sperare di trovare rifugio in Francia. Ripiegano tuttavia verso la Liguria: confusi, sfiniti e inseguiti dall’olandese dottor Zomer, che li vuole visitare per verificare l’effetto del consumo di hashish sulle diserzioni francesi, i tre co-protagonisti del romanzo di Magliani riscopriranno la loro umanità nella semplicità del paesaggio e del popolo ligure.
La scrittura di Marino Magliani in Il cannocchiale del tenente Dumont
Il romanzo di Magliani si caratterizza per una scrittura lirica, poetica: come in poesia la cura nella scelta lessicale è estrema, così anche le parole selezionate dall’autore non sono solo il mezzo usato per raccontare, ma hanno soprattutto capacità evocativa. È su quest’ultima che si fonda il romanzo: sulla creazione di immagini e situazioni legate al mare e al mondo della navigazione che sono cari ai protagonisti del romanzo e ancora più all’autore, che sembra voler fissare su carta ricordi di luoghi frequentati, amati, forse ora non più riconoscibili.
«Il giorno è attesa, sostanzialmente si spera che non appaia nulla, neanche la più innocua delle barchette a remi; l’aria geme e si riempie di frustate, le onde alte, scie di schiuma. La notte riporta strascichi di voci africane, rive popolate da una vita che resisteva solo in certe acque… La magia salmastra di ciò che non è più salato e non è ancora dolce, una specie di sogno ubriaco, posto in un punto di sutura tra sonno orribile e abisso».
A cura di Alessia Cito