Gli amanti della notte di Mieko Kawakami: un romanzo sulla solitudine e la necessità delle relazioni. Recensione
Dopo l’esordio con Heaven e il premiato Seni e uova, Mieko Kawakami torna in Italia con Gli amanti della notte, edito, come i precedenti, da Edizioni e/o, nella traduzione di Gianluca Coci. In questa nuova storia, la scrittrice giapponese dà voce alla solitudine straziante di una società intera, racconta il desiderio assillante di amare e di essere amati, e denuncia la pressione sociale che costringe le donne dentro stereotipi duri a morire.
Gli amanti della notte di Mieko Kawakami: la trama del libro
Irie Fuyuko è una trentaquattrenne che lavora come redattrice freelance: abita da sola, lavora da sola, i suoi contatti umani si riducono alle telefonate con Hijiri, la referente che le invia i manoscritti, e alla quale riconsegna i lavori ultimati. Le giornate di Fuyuko trascorrono tutte uguali, chiuse in un logorante ciclo di sopravvivenza: lavorare, mangiare, dormire. Non esce con nessuno, non parla con nessuno, non guarda la televisione, non ascolta musica, non ha interessi extra lavorativi. Quando termina di correggere le bozze che le sono state assegnate, si limita a esistere fino alla giornata successiva. Questa dolorosissima routine viene interrotta nel momento in cui la protagonista decide di provare a introdurre un cambiamento nella sua vita. La nuova abitudine, che si rivelerà tanto pericolosa quanto necessaria, permetterà a Fuyuko di riflettere sul proprio essere al mondo, sulla natura del rapporto con gli altri, sulla necessità di analizzare il proprio passato per comprendere a fondo il presente.
La condizione della donna tra solitudine e necessità di essere vista
«Avevo la netta sensazione che tutte le persone che mi circondavano non fossero sole: gente che aspettava o andava incontro a qualcuno, gente che andava a cena insieme, gente che andava o tornava da qualche parte. Loro insieme, e io da sola. Pensavo distratta alle loro emozioni e parole piene di gioia, a ciò che poteva renderli così vivaci e sorridenti e che purtroppo sembrava far parte di un mondo al quale non avevo accesso».
Chi non ha mai provato un senso di isolamento – rispetto alle persone, alle cose e ai luoghi – talmente grande da avere l’impressione di esistere in un mondo a parte? La vita di Fuyuko mette in scena il dramma dell’esistenza nelle società contemporanee: una tragedia senza clamore che si consuma nel silenzio di una casa piccola e vuota, in cui l’unico rumore è il suono della matita che corregge parole scritte da altri.
Con Gli amanti della notte Kawakami ripropone un tema che le è caro, quello della condizione della donna nel Giappone di oggi: Fuyuko è una donna sola, che ha subito terribili abusi non pienamente elaborati, e vive schiacciata dalla pressione sociale che le richiede di aderire a un’immagine e un ruolo precostituiti. Non c’è margine di scelta, non sono ammesse zone grigie, non c’è possibilità di capire chi si è: «Forse ti piace essere sempre dolce, graziosa e carina? Sei forse una cultrice dell’amore platonico e del desiderio idealizzato? Non vuoi che ti scambino per una “ragazza facile”? È così vero? Non vuoi che gli uomini pensino male di te e ti ritengano incapace di preservare le cose importanti. Ma importanti per chi?». È meglio essere come Hijiri, una «donna forte», che dice e fa quello che vuole, iper femminile e iper femminista – ma di quel femminismo intriso di capitalismo che non si propone di fare rete quanto piuttosto di promuovere la scalata al successo –, o forse è preferibile scegliere una femminilità più tradizionale, meno truccata, meno sboccata ma non meno critica nei confronti delle altre donne, che sono sempre troppo o troppo poco? Nel dubbio, Fuyuko rimane, suo malgrado, fedele a sé stessa: una creatura sola e solitaria, patologicamente insicura ma incapace di tradire l’immagine che vede riflessa nello specchio.
La scrittura di Mieko Kawakami in Gli amanti della notte
La scrittura di Kawakami ha la rara qualità di saper spogliare il dolore mettendo a nudo una solitudine feroce, che crea risonanze profonde nei lettori. «Mi sono lasciata cullare per un po’ dal treno assaporando una volta di più quel senso di sublime leggerezza, ma, seduta a guardare gli altri passeggeri dall’aria radiosa in quel vagone straripante di sole quasi estivo, ho cominciato ad abbassare lo sguardo, e la sensazione di cui mi ero inebriata prima, all’uscita dalla casa editrice, è crollata su sé stessa, ripiegandosi fino a ridursi alle dimensioni di un foglio da disegno, e poi restringendosi ancora, a vista d’occhio nel palmo della mia mano, scivolandomi tra le dite e sparendo inesorabilmente dal mio cuore». Le parole di Kawakami rinunciano spesso all’asciuttezza della prosa per modularsi su toni poetici, che non cedono mai alla doppiezza della metafora. Lo stile curato e impalpabile non rende la scrittura meno sincera, e non adagia neanche un velo di pudore su una storia terribile, che invita il lettore a soffrire, e a guarire.
A cura di Alessia Cito