Esercizi di fiducia di Susan Choi: un romanzo in cui niente è come sembra. Recensione
Negli ultimi anni si stanno moltiplicando le pubblicazioni editoriali che indagano il rapporto tra la finzione letteraria e quella teatrale: l’anno scorso ad averlo fatto brillantemente era stato l’esordio di Claudia Petrucci, L’esercizio, che aveva conquistato la critica e anche noi lettori di Rivista Blam. Quest’anno arriva in Italia, grazie a Edizioni Sur, un romanzo che scorre sugli stessi binari: Esercizi di fiducia di Susan Choi, vincitore – in terra statunitense – dell’ambitissimo National Book Award.
Esercizi di fiducia: la trama del libro di Susan Choi
La prima cosa da sapere su questo romanzo è che è diviso in tre parti. La seconda è che ogni parte racconta una versione diversa della stessa storia. La terza, e ultima, è che non sapremo mai la verità. Esercizi di fiducia, infatti, pone le sue premesse sin dal titolo: come a teatro, dove bisogna saper lasciarsi andare nelle braccia degli altri ad occhi chiusi, in questa storia bisogna compiere un atto di fede. Bisogna, in altre parole, credere a quello che ci viene raccontato come se fosse vero – perché, in fondo, nella narrazione c’è sempre una dose di finzione.
La storia di questo romanzo non è, in sé, né originale né particolarmente intricata: c’è una scuola teatrale, la CAPA; degli studenti adolescenti, alle prese con insicurezze, speranze, illusioni, desideri; e un insegnante, carismatico e paterno: Mr Kingsley. All’interno di questo perimetro si muovono Sarah e David, due ragazzi ingarbugliati che si scoprono innamorati durante un’afosa estate a New York. Il loro rapporto è carnale, viscerale. Si amano come solo a quindici anni si può fare: con il corpo, con lo stomaco, con la voglia di riscattarsi, di trovare qualcuno che finalmente riesca a comprendere l’altro. Ma la loro relazione rimane nel buio: deve farlo, per lo meno secondo Sarah, che finge quasi di non riconoscere David a lezione, quando le si avvicina con una collana che si era provata in una bigiotteria. David, invece, non la pensa così, e l’indifferenza di Sarah brucia come uno schiaffo inaspettato. È la fine di questa relazione e l’inizio della storia di Esercizi di fiducia: il momento in cui si aprono le tende e gli attori iniziano a muoversi sul palcoscenico.
Il teatro è vita, la vita è teatro
Da questo momento in poi, David e Sarah diventeranno i poli attrattivi di una storia i cui contorni sono assolutamente fumosi. Mr. Kingsley, il loro insegnante, li metterà spesso l’uno contro l’altro, nella speranza che i due si vomitino addosso il rancore sopito, la paura, la voglia di riprendersi, il timore di essersi persi per sempre. Kingsley fa da burattinaio e da padre allo stesso tempo: muove le pedine come se stesse partecipando a una partita di scacchi, ma lo fa con cura e attenzione, provocando attorno a sé l’ammirazione incantata dei suoi alunni che fanno a gara per ottenere un semplice “va tutto bene, tesoro”. Il suo compito è spingere gli altri ad agire, e a farlo come se stessero recitando: perché il teatro è vita, la vita è teatro, e i sentimenti sono autentici solo quando li si manipola consapevolmente.
Un’operazione di decostruzione strutturale
Esercizi di fiducia ragiona, quindi, sul rapporto tra la realtà e la rappresentazione, tra chi si è e chi si crede o si vuole essere. E lo fa in una maniera che è – questa, sì – assolutamente originale: attraverso il ribaltamento continuo e strutturale della nozione di verità. Al contrario di quanto si possa pensare, i tre narratori della vicenda non sono in alcun modo inaffidabili: tutti e tre raccontano una storia che è, senza alcun dubbio, avvenuta, esattamente come loro affermano. Ma ciascuno la racconta e la ricorda per come l’ha vissuta e nel modo in cui ha voluto serbarla: servendosi di proiezioni, scomposizioni, approssimazioni e sdoppiamenti.
«Proiezione o Resistenza: Qualcosa o Niente. La bugia smaccata, o la nuda verità che non viene mai detta. Non c’è nessun Manuel, o ce ne sono molti. Sarah non ha fatto nulla del genere, oppure ha fatto tutto, anche ciò che attribuisce ad altri. Karen non sapeva nulla, oppure sapeva tutto tranne la piega che prende questa storia adesso. Sarah la racconta per rivelare una verità nascosta – o per nascondere il vero sotto una falsità plausibile, scombinando la realtà storica con la logica del sogno fino a renderla irriconoscibile.»
Chi legge avverte fin nelle ossa che la realtà è sempre e soltanto rappresentazione: perché viene personalmente privato, in maniera inaspettata e totalizzante, di qualsiasi punto di orientamento. Proprio per questo motivo, Esercizi di fiducia non è soltanto un romanzo, ma una vera e propria esperienza: traballante, sconvolgente, a tratti confusionaria. Esattamente come la vita di ogni giorno.
Rapporti tossici e abusi
In un mondo narrativo in cui i confini tra realtà e rielaborazione non sono netti, i rapporti umani diventano, di riflesso, ambigui. Le relazioni che prendono vita in questa storia sono tutte, in modi diversi, triangolari e tossiche, indipendentemente dalla loro natura – che sia essa d’amore, d’amicizia o di semplice apprendistato. Stare insieme equivale, in qualche modo, a ferirsi, a volte anche a spadroneggiare sull’altro. E l’abuso diventa, così, il moto propulsore di tutta la vicenda.
Quand’è che un amore diventa ossessivo? Quando si può definire un rapporto consenziente? Quanto pesano, su di noi, i giudizi delle persone che percepiamo come importanti, carismatiche, autoritarie? In che modo le nostre azioni obbediscono a un copione che qualcun altro – la società, il nostro gruppo di amici, i nostri insegnanti – ci sta fornendo? Sono domande, queste, per le quali non esistono e non esisteranno risposte nette: questo romanzo lo conferma in maniera spiazzante. Eppure, porsele è ugualmente urgente, per Susan Choi, forse oggi più che mai: per acquisire la consapevolezza di quanto sottili siano i rapporti di forza e di potere che ci influenzano indirettamente nel modo in cui stiamo al mondo. Esercizi di fiducia si rivela, così, incredibilmente al passo con i tempi e con il dibattito recentemente sollevato dal movimento #MeToo: un ottimo motivo per leggerlo.
a cura di Rebecca Molea