Dove non mi hai portata, il libro in cui Maria Grazia Calandrone racconta la storia di sua madre che l’abbandonò in fasce
Pubblicato a ottobre del 2022 da Einaudi, Dove non mi hai portata. Mia madre, un caso di cronaca è uno dei titoli della dozzina candidata al premio Strega di quest’anno. Maria Grazia Calandrone – poeta, drammaturga, giornalista e conduttrice radiofonica – si riafferma narratrice raffinata con questo romanzo autobiografico nel quale indaga sulle proprie, semi sconosciute, origini alla ricerca dell’identità, vera e immaginata, della propria madre biologica. Una narrazione struggente, drammatica, accorata, che, con una prosa poetica e delicata, riesce a commuovere il lettore, coinvolgendolo emotivamente nell’intera ricostruzione delle vicende narrate.
Dove non mi hai portata di Maria Grazia Calandrone: la trama del libro
Lucia Galante è una contadina, quarta di cinque figli. Pelle chiara, riccioli neri e un’espressione sveglia. È nata e cresciuta a Palata, un paesino in provincia di Campobasso che, negli anni Trenta, contava meno di tremila abitanti. I suoi genitori possiedono una masseria nella quale lei si occupa delle mansioni domestiche, del bestiame e dell’orto.
Costretta a rinunciare agli studi, ai sogni e ai primi amori adolescenziali per assecondare le velleità di ricchezza del padre, Lucia viene in seguito promessa sposa a Gino Centolire, lo sciaccò, il buffone del paese, proprietario di un pezzo di terra confinante con quello dei Galante, un uomo violento e insensibile, ubriacone e indolente per natura, che Lucia non ha scelto e, soprattutto, non ama.
La vita di Lucia, in balia della volontà altrui, si trasforma in un inferno di interminabili tribolazioni, relegata com’è entro i confini di una convivenza coniugale infelice e segnata dalle minacce e i maltrattamenti, fisici e psicologici, messi in atto tanto dal marito quanto dai suoceri.
Soltanto l’incontro con Giuseppe – un «simpatico forestiero», reduce delle guerre d’Africa, chiamato come muratore a ricostruire il muro della camera da letto –, regala a Lucia un’inaspettata occasione di felicità, che lei decide di assecondare, mostrando una volontà di autodeterminazione ardita per l’epoca.
Ma il dramma diviene tragedia quando, a seguito del trasferimento di Lucia e Giuseppe in un modesto appartamento nelle periferie di Milano, la donna viene denunciata ai carabinieri per adulterio e abbandono del tetto coniugale. Lucia – già vittima di maldicenze, violenza familiare e sociale – diviene così anche rea per lo Stato che ne fa facile bersaglio di leggi moraliste e borghesi. Nel 1964, quando Lucia e Giuseppe aspettano una bambina, entrambi sono ricercati, ripudiati da tutti e senza un soldo, costretti a vivere nella capitale del boom economico come immigrati ed emarginati. I presupposti che preludono a un gesto disperato ci sono tutti.
Storia sentimentale di un caso di cronaca
Roma, giugno 1965. Una neonata bruna di otto mesi viene ritrovata, seduta su una coperta, sul prato antistante i propilei monumentali che segnano l’accesso a Villa Borghese da piazzale Flaminio. Quella bambina è Maria Grazia Calandrone, la cui storia, drammaticamente insolita, generò scalpore divenendo un caso di cronaca nazionale. Quello stesso pomeriggio estivo, Lucia Galante e Giuseppe Di Pietro, i due genitori della piccola, dopo aver affidato la loro bambina «alla compassione di tutti», decidono di compiere un gesto ancora più estremo: togliersi la vita gettandosi insieme nelle acque del Tevere.
«L’amore di Lucia per me, a me in persona sicuramente e semplicemente destinato, sta nel non avermi portata con sé nella morte, sta nel dove non mi ha portata e nel suo avermi riconsegnata alla vita. Alla vita di tutti. Facendo, della mia vita, fin dalle sue origini, vita che torna a tutti».
Quella di Calandrone è un’operazione di ricostruzione biografica, un’indagine minuziosa, capillare, chirurgica condotta attraverso il reperimento e l’analisi di fotografie, documenti d’archivio, lettere pubbliche e private, pagelle scolastiche, carte d’identità, cartelle cliniche, l’ascolto di parenti e testimoni. La scrittrice ricorre ai dati satellitari per mappare gli spostamenti fisici della madre, osservarne gli itinerari, misurare le distanze percorse a piedi, mentre si affida all’immaginazione per tracciare l’andirivieni psicologico che solca paesaggi – umani e geografici – descritti con nitidezza fotografica e sguardo socio-antropologico.
L’autrice scava, con sensibilità e zelo archeologico, tanto nell’animo dei personaggi quanto fra le pieghe della Storia che fa da cornice agli eventi narrati. Le vicende personali di Lucia sono, infatti, ricostruite in seno al contesto rurale e contadino del borgo molisano di Palata e si intersecano con i grandi avvenimenti del Novecento: le guerre d’Africa nazifasciste, il boom economico postbellico, l’industrializzazione e l’abbandono delle campagne, l’immigrazione interna verso il Nord, l’emigrazione in America e l’incipiente globalizzazione del Paese. Un mosaico di eventi storici e contesti socioculturali che interferisce attivamente nella vita di Lucia e Giuseppe, determinandone il destino.
L’obiettivo dell’autrice non è soltanto quello di risalire alle proprie origini, ricomponendo il puzzle della propria identità familiare, ma di conferire alla ricostruzione del dramma personale la forza di una verità che scagiona e assolve.
Calandrone restituisce alla propria madre naturale la comprensione e il commiato che non le fu reso in vita.
Lo stile di Maria Grazia Calandrone in Dove non mi hai portata
Lo stile di Calandrone è poesia pura. Una sensibilità fine, acuta, profonda. Una scrittura che trafigge e si inoltra senza timore nei luoghi emotivi più oscuri e ambigui. Una prosa evocativa capace di suggerire visioni vivide al lettore, dare corpo a luoghi, gesti e azioni, e infondere soffio vitale a ciascuno dei personaggi della storia.
A cura di Clara Frasca