Cose che non si raccontano di Antonella Lattanzi: l’inconfessabile desiderio di essere madre. Recensione
Per scrivere questo libro, Antonella Lattanzi ha schiuso porte che si ripromette di non riaprire. Cose che non si raccontano (Einaudi, 2023) è un romanzo autobiografico che nasce dal coraggio di raccontare l’irraccontabile: la dolorosa battaglia per la maternità, combattuta dall’autrice con e contro sé stessa, e quasi inconfessata fino al momento di questa pubblicazione. Lattanzi, di origini pugliesi, è scrittrice già nota per romanzi come Devozione e Prima che tu mi tradisca (Einaudi, 2010 e 2013) e Questo giorno che incombe (HarperCollins Italia, 2021), candidato al premio Strega e vincitore dei premi Vittorini e Scerbanenco. Ha collaborato per la tv e scritto sceneggiature per il cinema. Scrive anche per il «Corriere della Sera».
Cose che non si raccontano di Antonella Lattanzi: la trama del libro
Dopo due aborti volontari a diciotto e vent’anni, Antonella sente che, raggiunti i quaranta, è arrivato il momento giusto per avere un figlio insieme ad Andrea, il suo compagno di vita, regista e sceneggiatore anche lui. Ma il figlio non arriva. Proprio ora che saprebbe vincere le paure e le incertezze passate, e assumersi le responsabilità che prima non voleva, perché era intenta a realizzare il suo sogno più grande: diventare scrittrice. Una scelta e un’attesa che ha prima difeso come un diritto e poi condannato come una sciagura: «La paura di non essere più in grado di fare il mio lavoro. La paura di non saper nascondere chi sono davvero. Ogni ragione che ho avuto in tutti questi anni per non mettere al mondo mio figlio, io la maledico».
In questa dura confessione, che si muove tra passato e presente, tra il dire e il non dire, Antonella narra il suo percorso verso la maternità, segnato dalla difficoltà di rimanere incinta in modo naturale, e dalla necessità di ricorrere alla Pma (procreazione medicalmente assistita) per ben tre volte: un iter che diventa un calvario, mentre le possibilità di un esito felice si assottigliano fino a uno «zerovirgolazerozerozerouno percento», al quale alla fine smette di affidarsi.
Sono gli anni del covid, delle mascherine, degli ingressi contingentati, degli ospedali straripanti di pazienti e del lockdown. È in questo contesto, già drammatico di per sé, che la scrittrice si dibatte tra il tentativo di portare a compimento la gravidanza, e il desiderio di non rinunciare alle proprie ambizioni professionali. Lattanzi non tralascia nulla: le infinite visite mediche, i prelievi in laboratorio, gli innesti dolorosi, le ecografie, i monitoraggi e i lunghi ricoveri, il dolore – fisico ed emotivo – che annichilisce e tramortisce; e sentimenti brucianti come la rabbia, l’invidia, la paura, l’incredulità, i sensi di colpa, la rassegnazione, il rifiuto di accettare il destino.
Raccontare per continuare a vivere
«La vita è quello che succede mentre combatti contro la paura? Oppure sono tutti gli attimi di gioia e inconsapevolezza che riesci a ricavarti per non farti prendere dalla paura?». Per Antonella Lattanzi le cose che non si raccontano, quelle che fanno troppo male, sono quelle che non esistono – o, meglio, è come se non esistessero. In questo romanzo, che a tratti assume la forma di un memoir o di un diario, l’autrice ha espresso con sorprendente schiettezza tutto ciò che, fino al momento della pubblicazione, aveva preferito custodire e tacere persino alle persone più care.
Parlare di un dolore e condividerlo significa, infatti, riconoscerne e legittimarne l’esistenza: «Ho scoperto di essere così. Non voglio nominare niente che mi faccia stare male. Nessun passato. Nessun presente. Nessun futuro». Tuttavia, anche se i dubbi affiorano frequenti, Lattanzi comprende che scrivere rappresenta per lei l’unico modo per sottrarsi a un presente che sembra un vicolo cieco. Partorire un libro, trasferire nella scrittura la propria capacità generativa è, in qualche modo, rinascere: «Quando lo scrivo, sono gli unici momenti in cui non penso a questo presente inammissibile. In cui, pur nell’immersione nel dolore e nei ricordi che non voglio ricordare, c’è un sottofondo di gioia. Perché sto scrivendo il mio libro».
La scrittura di Antonella Lattanzi in Cose che non si raccontano
La scrittura di Lattanzi è sincera, trasparente, schietta, priva di filtri retorici. La prosa è spezzata e frequente è l’uso di incisi e parentesi, utilizzate come sede di un retro pensiero, di un mondo interiore, di una voce inconscia e sotterranea, che emerge a sprazzi e che spesso puntualizza, rettifica, controbatte. Tra un frammento e l’altro leggiamo il dubbio, l’esitazione del cuore, mentre le pagine vuote, volutamente lasciate in bianco, sembrano cullare un lungo silenzio di dolore. Una storia con la quale lettori e lettrici non potranno non empatizzare. Un racconto potentemente emotivo, che ci parla di vita e di morte ma soprattutto di sopravvivenza, e che trova nella scrittura un motivo di felicità, coraggio e speranza, nonostante tutto: «Ma ho detto che per scrivere devo essere sincera; qui, e solo qui. E quindi mi devo ridimensionare. Non sono stata coraggiosa. Ho tratto vita dal mio lavoro come mai prima. Ho tratto vita dalla bellissima tempesta del romanzo e l’ho trasferita dentro i miei tre figli. Ho tratto vita dalla bellissima – sì, bellissima – tempesta dei miei figli e l’ho trasferita dentro il mio romanzo».
A cura di Clara Frasca