Acari di Giampaolo G. Rugo: storie di periferia in una realtà di occasioni mancate. Recensione

 Acari di Giampaolo G. Rugo: storie di periferia in una realtà di occasioni mancate. Recensione

Acari è l’esordio letterario di Giampaolo G. Rugo uscito per Neo Edizioni. Un “romanzo di racconti” con personaggi differenti ed epoche diverse, grazie ai quali Rugo costruisce un mondo fatto di storie apparentemente separate l’una dalle altre. L’unico legame sembra essere la sconfinata periferia romana, sempre presente nella sua desolazione. Man mano che si prosegue con la lettura, gli avvenimenti si imbastiscono tra loro fino ad annodarsi in un’unica storia, tant’è che i protagonisti si conoscono, tornano in diverse situazioni e momenti della vita, e la narrazione diventa organica, fino a trasformarsi in un armonico romanzo corale.

Acari di Giampaolo G. Rugo: trama e personaggi del libro

C’è un altro elemento comune che lega i protagonisti delle storie: ognuno di loro è sempre occupato a fare qualcos’altro. C’è Mario, trentenne nel pieno di una crisi di coppia, che conosciamo inizialmente come giovane volontario che si prende cura di Gimbo, un ragazzo con una forte disabilità. Claudia, la bella del liceo diventata presentatrice televisiva, che incontriamo dopo la ripresa da un periodo buio. Ed è lei ad avere una storia con Aldo, un solitario che rimane senza vita sulla sua poltrona di casa, finché il vigile del fuoco Franco, fratello di Gimbo, irrompe nella casa e lo troverà esanime. L’unica storia che rimane apparentemente slegata dal resto è quella di un padre e di un figlio con la passione comune per il calcio. Il padre, da giovane, ha perso l’occasione di diventare calciatore per via di un infortunio che poi si scoprirà essersi cercato volontariamente.

Le occasioni mancate

Il fulcro dal quale si dipanano i raggi delle storie è rappresentato dalle occasioni mancate. Le situazioni in cui ci si è quasi ma che per qualche aspetto secondario non si riesce a raggiungere l’obiettivo. E quindi Claudia non incontra un vecchio amore; Mario non risponde alla telefonata di Claudia; Franco passa sette anni senza andare a visitare il fratello disabile; lo stesso Gimbo vorrebbe morire ma per un momento non trova la complicità di Mario. In questo modo le storie raccontano rimpianti, insuccessi e situazioni nelle quali sarebbe bastato poco di più per andare a segno. E Rugo lo sottolinea con una metafora esemplificativa di un tiro da tre di basket: “La palla aveva fatto un giro intorno all’anello del canestro, si era fermata in bilico sul ferro prima di uscire”.

Ma le occasioni non si perdano solo per via di un destino che ci sembra ineluttabile. È soltanto la realtà, e qualcosa può succedere anche per nostra volontà, per un errore a cui non pensavamo di dare peso. A dimostrarlo la storia del padre e del figlio già menzionata.

La sconfinata periferia romana

La desolata periferia romana, interminabile e spesso cupa, non è soltanto il palcoscenico sul quale vanno in scena gli attori. È un elemento vivo, un personaggio del romanzo come gli altri. E prende forma in due modi: attraverso la lingua parlata dai protagonisti e lo spazio. Palazzoni, marciapiedi, fermate di autobus, metro blu e metro arancione, vialoni. Posti che danno origine a continui ritardi, perdite di tempo. Luoghi che succhiano l’anima dei protagonisti che vedono aggiungersi ai propri problemi anche il fatto di dover combattere ogni giorno contro quel gigante che cerca di intrappolarli. E per questo le loro vite vanno sempre di fretta. Perché a Roma chi si ferma rimane indietro, subisce. E, come Aldo, rimane senza vita per dieci anni, chiuso nel proprio appartamento, senza che neanche i vicini se ne rendano conto.

Lo stile di scrittura di Giampaolo G. Rugo

Addentrandosi nelle storie di Rugo, il lettore sa sempre in che punto si trova. E questo accade grazie alla capacità dell’autore della costruzione della scena. Nei cambi d’epoca, soprattutto, Rugo guida il lettore con descrizioni puntuali che permettono di seguire la narrazione senza dover tornare indietro a controllare. Per quanto riguarda il linguaggio, ancora una volta Roma è onnipresente. Lo scrittore fa parlare i suoi personaggi con un forte accento romano. E utilizza il romanesco anche per esprimere la raccomandazione che dà il padre al figlio, che poi è la speranza che rimane sospesa nel testo affinché in futuro non si perdano le occasioni: “Nun devi da fa’ cazzate”.

a cura di Flavio Capperucci

Blam

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