Romanzo di formazione o Bildungsroman: libri e origine di un genere di successo
Tutta la letteratura, senza dubbio, porta il lettore a nuove consapevolezze e, di conseguenza, a una crescita interiore. Ma il romanzo di formazione si concentra, in particolare, sul complesso passaggio dall’adolescenza all’età adulta reso possibile unicamente dal superamento lento e progressivo degli ostacoli che la vita ci presenta. Il lettore si vede così riflesso nel protagonista e progredisce assieme a lui lungo l’intero corso della storia. Ma vediamo insieme quando nasce e quali sono le opere più iconiche di questo genere di successo.
Bildungsroman: Storia e peculiarità del genere
Il romanzo di formazione deve le sue origini alla Germania, e in particolare a Goethe, tanto da essere comunemente conosciuto anche con il suo termine tedesco, Bildungsroman. Tuttavia, la matrice pedagogica che ne sta alla base trova un riscontro decisamente più antico: già Omero, nei primi quattro libri dell’Odissea, aveva parlato di un giovane, Telemaco, figlio di Odisseo, che, una volta raggiunta la maturità, si rese conto della tragica situazione in cui si trovava la madre Penelope, a seguito della partenza del marito; situazione di cui sino ad allora era rimasto felicemente all’oscuro, nell’innocenza infantile. Inoltre, come fa notare il critico Giulio Ferroni, la stessa Vita nova di Dante, sebbene non sia certo un romanzo, è un perfetto esempio di crescita giovanile del protagonista: da un amore materiale (pensiamo al saluto di Beatrice), il poeta passa a un amore spirituale, riflesso di quello divino, grazie al superamento di due momenti di sofferenza: la negazione del saluto e la morte della donna amata.
Ma certamente la diffusione e l’affermazione del genere si deve alla fine del Settecento quando, sotto la spinta illuministica e l’influenza delle idee pedagogiche di Rousseau, è sentita sempre più forte l’esigenza di integrazione dell’individuo all’interno della società urbana.
I due tipi di conflitto
I temi più comuni, spesso, sono dunque l’amicizia, l’amore, l’avventura; quest’ultima in particolare è la spinta orizzontale della narrazione e offre al protagonista la possibilità di mettersi alla prova nel tentativo di superare i conflitti esterni che incontra, senza i quali non potrebbe raggiungere una piena maturazione, rappresentata dal rito di passaggio che costituisce invece la linea verticale del romanzo. Esemplare in questo senso il romanzo di Alain-Fournier, intitolato Il grande amico (1913), che ruota interamente attorno al tema del viaggio e che ebbe grande risonanza anche in Italia.
Altre volte, però, il personaggio si scontra con qualcosa di immateriale e puramente psicologico: il suo io e la sua coscienza possono rappresentare infatti una paralisi che gli impedisce di agire. Ed ecco che a quel punto entra in gioco la «psicomachia» (dal greco psyché, «anima», e máche, «battaglia»), ossia un conflitto interiore tra idee e pulsioni tra loro contrapposte, dunque la «battaglia de li diversi pensieri», per usare parole dantesche. In I dolori del giovane Werther di Goethe, romanzo che non può però essere del tutto ascritto al genere del Bildungsroman (dato l’esito negativo della vicenda), il protagonista si troverà proprio in questo stato di conflittualità interiore. In un momento della narrazione, infatti, per far fronte a una delusione d’amore, la mente di Werther oscilla fra due pensieri: quello di arruolarsi per l’esercito e quello di togliersi la vita.
La perdita del mito infantile: L’isola di Arturo
Accade spesso nei romanzi di formazione che le consapevolezze raggiunte dal protagonista al termine del suo percorso coincidano con una nuova visione disillusa della realtà. È la fine del mito giovanile, il paradiso perduto, la fuga degli dèi, l’impatto diretto con le complicazioni della vita adulta. Un’opera che esprime al meglio questo disfacimento della realtà incantata e positiva è L’isola di Arturo di Elsa Morante (1957), con cui l’autrice vinse il premio Strega. Ambientato nell’isola di Procida, il romanzo racconta di Arturo Gerace, un giovane orfano della madre e figlio di Wilhelm, un padre sempre assente, ritenuto dal ragazzo un eroe mitico al pari di quelli antichi. Un primo urto con la realtà avviene quando Nunziata, la nuova sposa del padre, arriva a casa. La conseguenza è un duplice sentimento di gelosia da parte di Arturo: il primo è dovuto alle attenzioni date a Wilhelm dalla matrigna, il secondo invece si deve alle cure di quest’ultima verso il figlio che le nascerà. Nunziata rappresenta quindi prima un ostacolo interposto tra Arturo e lo stimatissimo padre, e poi l’affetto mancato di una figura materna che il ragazzo non ha mai avuto. La definitiva rottura con una visione idealizzata della realtà avverrà quando il giovane scoprirà la vera natura del padre: questi ha trascurato il figlio non per inesistenti viaggi epici lontani da casa, come inizialmente credeva, ma a seguito di una relazione omosessuale e adultera intrattenuta con un carcerato, Tonino. Il rito di passaggio è compiuto, la decisione è presa: Arturo, con una nuova consapevolezza, lascerà per la prima volta Procida, l’isola entro cui aveva racchiuso il suo mondo.
A cura di Alessandro Pasini