Realismo magico in letteratura: cos’è, significato, storia, libri sul genere letterario
Capace di varcare il confine tra reale e fantastico, il realismo magico può considerarsi uno dei generi letterari più particolari e affascinanti del Novecento. Spesso riferito alla letteratura latinoamericana, si tratta di una corrente artistica che immerge, all’interno di un contesto verosimile, una o più componenti sovrannaturali, riducendo incredibilmente la distanza tra finzione e realtà. In proposito, lo scrittore Arturo Uslar-Pietri vedeva «l’uomo come un mistero circondato da fatti realistici. Una previsione poetica o una negazione poetica della realtà. Ciò che per mancanza di un nome potrebbe essere chiamato realismo magico».
Realismo magico: storia e peculiarità del genere
Sebbene l’espressione «realismo magico» trovi la sua prima applicazione in campo pittorico, questo genere ha cominciato a legarsi perlopiù alla letteratura da quando il critico Angel Flores parlò di magical realism in un suo saggio del 1955. Massimo rappresentante del genere è senza dubbio Gabriel García Márquez, che con il suo capolavoro Cent’anni di solitudine, uscito nel 1967, ha codificato le regole complessive di questa corrente. Il realismo magico è l’anello di raccordo tra realismo e fantasy: personaggi e ambientazioni sono fortemente verosimili, spesso grazie a dettagli e descrizioni minuziose che calano il lettore in una dimensione che è riflesso del mondo reale; al tempo stesso, però, l’autore inserisce nel corso della narrazione elementi magici o sovrannaturali capaci di rompere il contatto con la realtà. Altri maestri indiscussi, che in qualche modo hanno anticipato García Márquez, sono Luis Borges, con la sua Storia universale dell’infamia; Franz Kafka, che in La metamorfosi polemizza contro l’avversione dell’uomo verso la diversità; e Dino Buzzati, il quale nei Sessanta racconti fa ricorso alla componente magica per raffigurare con efficacia le angosce e le paure più profonde dell’animo umano.
Pochi limiti, molta libertà
Da secoli l’arte viene affiancata all’idea di infinito: permette infatti, almeno nella teoria, di esprimere qualsiasi cosa, a patto di avere le capacità per farlo. Rimanendo in campo letterario, il sistema linguistico, se pur fatto di un numero limitato di parole, prevede tuttavia infinite possibilità di combinazioni. È quella che la linguistica ha definito «onnipotenza semantica». Eppure, l’autore, per motivi diversi, finisce per imporsi limitazioni. Queste possono dipendere da una serie di fattori: per esempio la poesia a volte richiede l’uso della rima o l’esatta incastonatura delle parole all’interno del metro. Tra i fattori limitanti ci sono anche i generi letterari, per cui una volta scelta una determinata strada bisognerà rispettarla e spingersi non oltre i limiti che ci siamo imposti.
Un grande vantaggio del realismo magico consiste proprio nell’essere uno dei generi letterari che meno risente dei lacci normativi della letteratura: qualsiasi contesto reale può essere infatti stravolto dall’inserimento di un elemento magico. Ed è qui che l’immaginazione dello scrittore in massimo grado trova sfogo, dando la parvenza che non vi sia alcun limite da rispettare: tutto può accadere, tutto può essere contraddetto, persino le leggi fisiche della natura. Ci si avvicina di più, in questo modo, ai concetti di infinito e di onnipotenza semantica, poiché ogni vicenda della narrazione può trovare illimitati modi di espressione.
La singolare efficacia del realismo magico
Ma se le cose stanno in questo modo, perché non adottare il fantasy, che consente una libertà maggiore? In un contesto completamente fantastico, dove tra una pagina e l’altra compaiono maghi, lande fatate e antiche stregonerie, non ci stupiremmo affatto se improvvisamente si parlasse anche di draghi o di altre creature mitologiche. A partire dalle prime vicende raccontate, infatti, l’autore stipula un patto con il lettore che dovrà essere rispettato sino all’epilogo della storia.
Non è così che funziona, invece, con il realismo magico, dove l’elemento sovrannaturale è immerso in un contesto del tutto reale e acquisisce proprio per questa ragione un rilievo distintivo: la sua funzione all’interno della storia si isola e assume una forza e un’efficacia difficilmente raggiungibili in altro modo. L’atmosfera realistica permette al lettore di sentire molto più vicina a sé la componente magica, attenuando incredibilmente quel distacco che ci costringe a considerare fittizia una storia. Spesso autori come Buzzati e Kafka posticipano il fantastico all’interno del racconto al fine proprio di abituare chi legge a un’ambientazione il più possibile credibile, per far cadere poi improvvisamente ogni aspettativa.
Il realismo magico in Italia: Dino Buzzati
Campione indiscusso, nonché pioniere del realismo magico in Italia, è certamente Dino Buzzati. Il suo Sessanta racconti, che gli ha assicurato il premio Strega nel 1958, è una raccolta che si colloca a metà tra realismo magico e surrealismo. Le storie sono spesso immerse in un’atmosfera di profonda apprensione o di attesa angosciosa che delude ogni aspettativa del protagonista. La realtà è inquietante in tutti quegli aspetti che all’uomo rimangono ignoti, oscuri o misteriosi, come la morte, poiché ciò che non si conosce non può essere controllato, e ogni cosa che sfugge al controllo dell’uomo moderno è quanto di più spaventoso possa esserci. E come rappresentare al meglio la paura dell’uomo, il mistero dell’indefinito, se non con il sovrannaturale, ossia con qualcosa che si sottrae a ogni forma di legge naturale? Uno dei racconti più rappresentativi in questo senso è certamente Una goccia. L’autore descrive il senso di inquietudine che provano i condomini di un palazzo quando vengono a sapere che una goccia, di notte, piano piano sale le scale. Non è nient’altro che una innocua goccia d’acqua, che non può far male a nessuno. Eppure è proprio la sua strana natura a incutere il timore dell’ignoto: «Ma no, vi dico, non è uno scherzo, non ci sono doppi sensi, trattasi ahimè proprio di una goccia d’acqua, a quanto è dato presumere, che di notte viene su per le scale. Tic, tic, misteriosamente, di gradino in gradino. E perciò si ha paura».
A cura di Alessandro Pasini