“Cosa cambierei della scuola italiana? Gli stipendi degli insegnanti”, intervista a Filippo Caccamo in libreria con “Maledetta prima ora”

 “Cosa cambierei della scuola italiana? Gli stipendi degli insegnanti”, intervista a Filippo Caccamo in libreria con “Maledetta prima ora”

Filippo Caccamo – autore, comico e insegnante con oltre 800mila influencer solo su Instagram – con Maledetta prima ora (Mondadori, 2024) ha donato ai suoi lettori un racconto leggero e sensibile sul mondo della scuola, allo stesso tempo una testimonianza vera per veicolare, nella giusta maniera, tutto quello che c’è dietro il mondo della formazione, anche i sogni, le paura degli studenti e i punti più critici della scuola italiana. Per faci dire tutto questo, abbiamo intervistato proprio Filippo Caccamo. 

Perché scrivere un libro sulla scuola?

Perché la scuola non è solo pesantezza, perché non è solo didattica: può essere anche un racconto di vita, appunto un romanzo, una storia da narrare con un punto di vista leggero. Non a caso il libro è uscito volutamente a giugno, con l’idea che i lettori “si portino la scuola sotto l’ombrellone”, senza pensare necessariamente “che noia”.

Qual è una cosa della scuola italiana che cambierebbe all’istante se potesse?

Lo stipendio degli insegnanti! Parlare di soldi in Italia sembra vietato eppure sono convinto che se la retribuzione degli insegnanti fosse più adeguata, più appetibile, non troveremmo così tante persone parcheggiate a caso dietro la cattedra.

Lei scrive che «insegnare è una vera missione»: cosa consiglierebbe a chi oggi volesse intraprendere la professione di insegnante?

Consiglierei di lavorare tanto sull’umanità: la didattica ha sempre spazio per essere affrontata, invece certi confronti umani ­– soprattutto alle medie – li puoi affrontare una volta sola. Ci vuole empatia con i ragazzi, umanità, vicinanza: ci sarà sempre tempo di fare bene la seconda guerra mondiale; invece esserci davvero in certi momenti di snodo delle vite dei ragazzi è importante una volta sola, quella giusta, al momento giusto.

Il narratore a un certo punto dice: «A me piace ancora pensare che insegnanti e studenti stiano dalla stessa parte della barricata. Solo che molti l’hanno dimenticato». Come pensa bisogna agire per sanare questa frattura che c’è tra le due parti?

A mio avviso, mio nonno era molto più simile a mio padre di quanto io non lo sia al mio di padre. Il gap generazionale oggi è immenso, anche e soprattutto per il passaggio dall’analogico al digitale. Per sentirci tutti dalla stessa parte bisognerebbe imparare a venirsi incontro, con dei piccoli compromessi: gli insegnanti non dovrebbero accantonare a priori il digitale e i ragazzi dovrebbero capire che non si stanno rapportando con dei matusalemme… dovrebbero tutti provare a trovare una lingua comune.

Lei è comico, autore e insegnante: riguardo proprio quest’ultima professione a contatto con tanti studenti, quali direbbe siano le paure e i sogni dei più giovani oggi?

Il primo sogno, di tanti, troppi giovani è diventare ricco, in qualsiasi ordine scolastico. Se chiediamo a un ragazzo cosa vuoi fare da grande, troppo spesso ti risponderà appunto diventare ricco. L’incertezza economica la sentono, lì, latente, in agguato, e si augurano di non doverla vivere sulla propria pelle. Le paure dei giovani, poi, sono in realtà dettate dalla loro stessa fragilità. Basta poco, mezza parola per mandarli in crisi e farli crollare… c’è tanta, tanta insicurezza tra i ragazzi.

Quale messaggio si augura arrivi ai lettori di Maledetta prima ora?

Vorrei che arrivasse loro l’idea che la scuola è anche leggerezza, non solo drammi, carichi di studio e ansia. E poi c’è il famoso “mal comune mezzo gaudio”: i drammi tuoi personali, in fondo, li viviamo tutti e possiamo provare a viverli col sorriso.

A cura di Vincenza Lucà

Blam

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