Diario di un’estate marziana di Tommaso Pincio: passeggiata nostalgica per la Roma di Ennio Flaiano
Diario di un’estate marziana (Giulio Perrone editore, 2022) nasce dalla volontà di Tommaso Pincio di scrivere un libro su Ennio Flaiano; questo «libercolo di pensieri sparsi» – così lo definisce il suo autore – si presenta al lettore come una raccolta di note autobiografiche, appunti, aneddoti, interviste e citazioni che insieme compongono una narrazione imperniata su Flaiano, Roma e l’estate.
«Non avevo deciso in partenza che questo libro dovesse prendere la forma di un diario, lo stillicidio di una stagione che sembra esistere per finire mi ha fatto sentire particolarmente fraterna la malinconia di Flaiano. O forse perché Flaiano scriveva giorno per giorno o almeno tendeva sempre alla forma del diario, dell’appunto».
Diario di un’estate marziana di Tommaso Pincio: la trama del libro
Tommaso Pincio passeggia per le strade di Roma e, mentre l’afa estiva respinge la vita metropolitana e appanna il presente, il suo cammino diventa una conversazione peripatetica in compagnia di Ennio Flaiano – lo scrittore e sceneggiatore trapiantato nella capitale nel ’22 – tra ricordi, modi e luoghi del secolo breve appena trascorso. Roma, con le sue rovine pietrose e «inestinte», è il set di questo pellegrinaggio a due sulle tracce delle trasformazioni e dei cambiamenti che, al termine della guerra, hanno segnato gradualmente la fine di un’era e l’inizio di un’altra.
Il racconto, seguendo i percorsi abituali di Pincio e dello stesso Flaiano, è una pellicola di scatti rubati, una passeggiata fantasmatica tra frammenti, scorci, e fondali. Su ogni passo brucia il sole d’estate, la stagione del malinconico, della felicità transitoria; la stagione durante la quale – spiega l’autore – anche chi ha vissuto una vita intera in questa città dagli spazi smisurati, disseminata di edifici monumentali e prorompenti, si sente sempre un po’ straniero, un alieno; proprio come il protagonista del racconto di Flaiano Un marziano a Roma, che con la sua astronave atterrava sul colle di Villa Borghese, destando l’iniziale stupore dei cittadini. Ciò che accomuna Flaiano e il narratore è lo stesso moto viscerale nei confronti di Roma, un sentimento di «amorodio» o di «odiamore» come lo definisce Pincio, addensando in una sola parola sentimenti contrapposti: da una parte il comune desiderio di fuggire altrove, specialmente quando la città si rivela spaventosamente straniera, dall’altra, l’abitudine, e forse il destino, di restare.
Attraverso il ricordo di Flaiano – abruzzese d’origine, romano d’adozione, uomo dalle molte ombre – Pincio esplora la Roma del boom economico, dei primi rotocalchi, del turismo che inizia a farsi industria, delle celebrità del piccolo e grande schermo, dei paparazzi, e del «cinema per il cinema», ovvero di un tempo in cui, per gli appassionati, le sale cinematografiche contavano più dei film, e si vivevano come se fossero case, luoghi familiari, rifugi intimi.
Nel racconto c’è la Roma dei café, dei salotti letterari, quella in cui la sera ci si incontrava in via Veneto, la strada della Dolcevita, da Rosati a piazza del Popolo o da Cesaretto in via della Croce; luoghi in cui cineasti e intellettuali discutevano di rivoluzione, e scrivevano, seduti ai tavolini di un bar, la scaletta di un romanzo o il copione di una sceneggiatura. C’è anche la veracità del «romano de Roma», che esplode improvvisa come l’urlo da un balcone del primo piano: «Scenni se ssei omo!». Su tutto aleggia lo spirito di un popolo intero, giudicato incline alla noia, all’ozio e all’indifferenza che, ancora poco tempo fa, quando le strade puzzavano di cavolo e sterco di cavallo, «ripugna[va] il lavoro, e riposa[va] durante i pomeriggi d’estate per uscire soltanto la sera, quando scendeva il ponentino e ci si rinfrescava con il vino che gli osti tenevano nelle grotte attorno al Monte dei Cocci».
Compaiono, infine, dietro lo sguardo nostalgico dell’autore, le vecchie abitudini e le piccole gioie, vicine e lontane a un tempo: affacciarsi dal balcone assorti, con il pretesto di fumare una sigaretta, e guardare la città che si staglia all’orizzonte, il cielo dal basso, la strada dall’alto, i passanti che camminano avanti e indietro; o sedersi dietro le persiane della casa dirimpetto, come spettatori curiosi di vita, trasognati e intenti, che vogliono e sanno ancora «osservare» il mondo attraverso uno spiraglio.
Pincio ha la capacità di ricomporre i frammenti e rievocare l’atmosfera di un’epoca scomparsa, ricordandoci quanto ancora ci appartenga nella sacralità di riti intimi e collettivi.
Tommaso Pincio: chi è lo scrittore
Tommaso Pincio, di origini romane, è il nome d’arte di Marco Colapietro: «Come scrittore mi sono condannato da solo a una maledizione, nel senso che devo costantemente spiegare perché mi chiamo in un certo modo». Lo pseudonimo è infatti l’italianizzazione del nome dello scrittore postmodernista Thomas Pynchon, cui l’autore romano riconosce una paternità letteraria; ma contiene anche un riferimento al Pincio, il colle sul quale sorge Villa Borghese: un toponimo che è per l’autore un «segno culturale» del paesaggio romano.
Formatosi all’Accademia di belle arti di Roma, Pincio esordisce come fumettista e gallerista, ma integra presto la sua vocazione per l’arte con la passione per la scrittura. Tra le sue opere più note ricordiamo Un amore dell’altro mondo (Einaudi, 2002), La ragazza che non era lei (Einaudi, 2005), Lo spazio sfinito (minimum fax, 2010) e Panorama (Nn editore, 2015). La matrice letteraria dei suoi scenari, in alcuni casi distopici e apocalittici, e delle sue storie è da rintracciarsi in Franz Kafka, Edgar Allan Poe e Philip Dick.
Oltre che alla scrittura, anche saggistica, Pincio si dedica all’attività di traduzione di autori inglesi e americani: Orwell, Fitzgerald, Kerouac, Dick e Stoker tra gli altri.
Consiglio letterario: perché leggere Diario di un’estate marziana di Tommaso Pincio
Diario di un’estate marziana è un déjà-vu da cui non ci si vorrebbe ridestare. Lo consigliamo ai nostalgici e i malinconici. A chi ama il cinema e il «cinema per il cinema». Se non si conosce Flaiano. Se non si è ancora letto Tommaso Pincio. A maggior ragione, se lo si è letto. Se si guarda al presente, anche e ancora, attraverso le lenti del passato. A chi ama Roma, nel bene e nel male. A chi la odia, ma non può farne a meno. Ai sognatori solitari e a chi non sa vivere se non «con i piedi fortemente poggiati sulle nuvole».
A cura di Clara Frasca