Il racconto del mercoledì: Colon irritato di Massimiliano Piccolo

 Il racconto del mercoledì: Colon irritato di Massimiliano Piccolo

Illustrazione di Sonia De Nardo – Anime dalla luna

Ricordo ancora l’ultimo giorno di accademia.
Durante quei tre anni avevo maturato la mia futura condanna: le aspettative. Alcuni compagni di corso avevano già un biglietto di sola andata per Londra, New York, Parigi e quelli più sofisticati per Oslo, sulle orme di Eugenio Barba e de l’Odin Teatret.
Io, invece, non avevo alcun bisogno di andare lontano. Il futuro mi stava aspettando a Milano. Non c’era alcun bisogno di voli transoceanici e di jet lag che ti porti sul volto per giorni interi. Perché io avevo talento, e sapevo che avrei sfondato.
Così mi ero girato di nuovo tutte le agenzie di casting con il mio diploma di accademia, confidando che suscitasse grande e dovuto interesse. Sapevo che sarebbe stata soltanto una questione di tempo.

Dopo un paio di settimane, infatti, mi avevano chiamato offrendomi la parte del protagonista in uno spot che sarebbe andato in rotazione su tutte le principali reti televisive, in prima serata. Mi avevano detto di recarmi in agenzia per valutare con loro la proposta, e ne approfittarono per complimentarsi per la mia espressione accattivante. Proprio così avevano detto.

Il giorno successivo, alle otto e trenta del mattino, ero già in agenzia. Senza girarci troppo intorno, mi avevano detto che si trattava di uno spot di una azienda farmaceutica: un farmaco per il colon irritabile. Colon irritabile. Al momento ero sobbalzato sulla sedia. Forse perché mi stavo già immedesimando nella parte.
Avrei voluto pensarci, ma non potevo permettermi di perdere l’occasione. Dovevo accettare e inaugurare la mia nuova carriera. Recitare come sapevo e farmi notare da qualche grande regista: Salvatores, Pupi Avati, Tullio Giordana o Tornatore, ad esempio.

Le riprese erano iniziate una settimana dopo ed erano andate alla perfezione. La mia interpretazione era stata perfetta. Non mi restava che attendere la messa in onda e la telefonata da qualche grande del cinema. Del resto, anche Accorsi aveva cominciato con il Maxibon. E io possedevo un’arma in più: conoscevo la dizione.

Erano passate settimane. Nessuno mi aveva richiamato, nonostante la pubblicità fosse stata trasmessa tutti i giorni. Soltanto i passanti sembravano accorgersi di me e cominciavano a riconoscermi: in tram, in metropolitana, al birrificio di Lambrate e una volta persino nella semioscurità danzereccia dell’Alcatraz. Senza volerlo stavo diventando popolare; non so se più per la mia interpretazione o per la mia espressione.
Nel frattempo, la mia immagine era comparsa sui cartelloni pubblicitari e la gente mi fermava sempre più spesso.
Colon! Ma sei proprio tu? Mi domandavano estasiati.
Qualcuno mi chiedeva l’autografo e io avevo cominciato a firmarmi con il mio nuovo nome d’arte. Ed è stato proprio in quegli attimi, mentre scrivevo le prime dediche su carta o addirittura sulla pelle, che comprendevo – con tutta l’irritazione del caso – che la mia carriera era già finita.


Massimiliano Piccolo
 

 

Racconto tradotto in LIS (Lingua dei Segni) da Nicole Vian dell’Associazione Guanti Rossi e letto da Antonella Dilorenzo

 

Blam

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