Il cerchio perfetto di Claudia Petrucci: un romanzo di case e fantasmi in cui niente è come sembra. Recensione
Rapporti triangolari, recite, uomini e donne del passato che ritornano: sono questi gli ingredienti dei romanzi di Claudia Petrucci, che aveva esordito qualche anno addietro con un testo, L’esercizio (La nave di Teseo, 2020), che aveva tutto il fascino delle storie in cui la verità si mescola alla menzogna e la realtà alla finzione. Torna adesso in libreria con un nuovo romanzo, pubblicato per Sellerio, che contiene già nel titolo tutto quello che c’è da sapere sul suo contenuto: Il cerchio perfetto – l’immagine del tempo che si avvolge su sé stesso in un eterno ritorno e l’architettura maestosa di una casa che riproduce e nasconde nelle sue geometrie l’essenza sfuggente di una vita perduta.
Il cerchio perfetto di Claudia Petrucci: la trama del libro
La storia prende avvio quando Irene, venditrice di immobili all’asta, riceve la chiamata di un avvocato lontano che le propone una commissione apparentemente impossibile. Si tratta di una villa elegante situata nella periferia di Milano, in via Saterna, assente nelle carte e complicata nella struttura. A guardarla sembra che chi l’ha progettata abbia voluto realizzare molto più che una semplice abitazione. Il gioco dei riflessi, la pianta circolare, la perfetta corrispondenza delle misure – lo stesso numero moltiplicato un’infinità di volte, in una sorta di ossessione allucinata – restituiscono l’immagine di un progetto ambizioso: di una tensione verso l’assoluto che è, allo stesso tempo, un tentativo di resistere al passaggio del tempo e cristallizzare per sempre il profilo di quello che è stato. C’è qualcosa di misterioso in quella villa: qualcosa che suggerisce un disegno preciso, un rovello, una passione che infiamma e consuma fino al midollo. Irene lo intuisce, ma non può ancora saperlo con certezza. Lo scoprirà insieme al lettore, ricostruendo l’intreccio che unisce il presente ai giorni lontani del 1970: quelli in cui un uomo, Dario Sartori, ritornava morbosamente sul progetto di una casa commissionatagli da una coppia milanese – il più importante della sua carriera da architetto.
Uno sforzo di approssimazione impossibile alla verità
C’è in Il cerchio perfetto uno sforzo di approssimazione formale che è anche, in fondo, uno slancio verso la verità: quella della storia – cosa si nasconde dietro la villa? Per chi era stata costruita? Chi è la ragazza misteriosa che ancora la abita? – e quella delle persone, la cui essenza si sottrae continuamente a qualsiasi tentativo di afferrarla. Il mondo di Il cerchio perfetto si presenta come uno spazio popolato di fantasmi, apparenze, proiezioni, sogni, fantasie: tanto che il motivo del riflesso – o, ancora meglio, della rappresentazione – è quello che torna più frequentemente nel romanzo, in un gioco di corrispondenze che nasconde una volontà di mascheramento. Il desiderio di raggiungere la verità viene così ostacolato strutturalmente dalla narrazione, che si configura come una folle ricerca dell’attimo assoluto che sappia riassumere ogni cosa compiutamente. Il cerchio perfetto è, allora, un’immagine dell’eterno ritorno – declinato nelle colpe che si ripetono, nella storia che si avvolge su sé stessa e rende combacianti figure lontane – e allo stesso tempo il simbolo di un’aspirazione impossibile ma comunque tentata, agognata, rincorsa fino allo spasimo mortale. Non esiste redenzione alcuna in questa storia, come nella vita; esistono, invece, complesse geometrie di sviste, garbugli, fallimenti, imperfezioni, conquiste mancate. Ed è lì, in quell’incastro pericolante, che si nascondono i detriti delle verità cercate dagli altri: nelle anse di una villa oscura che ha seppellito ogni ricordo e passione ormai guasta.
Lo stile e la struttura di Claudia Petrucci in Il cerchio perfetto
Il romanzo si sviluppa su due piani temporali: il presente, che segue le vicende di Irene, e il passato, segnalato tanto dall’indicazione cronologica posta all’inizio della pagina quanto da un cambiamento del tono della narrazione, che diventa improvvisamente magnetica, viscerale e avvolgente. I capitoli al passato, infatti, si costruiscono come spirali circolari in cui la scrittura assume la funzione del gorgo, del vortice trascinante e incontrollato. Il lessico si fa ricercato e simbolico, le frasi si rincorrono, accavallandosi l’una sull’altra; eppure la prosa rimane sorvegliata, precisa, come se la narrazione obbedisse anch’essa, al pari della costruzione architettonica, a un ordine geometrico e lineare, a una volontà di sottrarre il suo contenuto al logorìo della lingua quotidiana e riscattarlo nella forma della parola assoluta e perfetta.
A cura di Rebecca Molea