Guerra: pubblicato dopo 70 anni il romanzo scomparso (e poi rinvenuto) di Céline. Recensione

 Guerra: pubblicato dopo 70 anni il romanzo scomparso (e poi rinvenuto) di Céline. Recensione

Guerra di Louis-Ferdinand Céline (Adelphi, 2023) è il primo di una serie di manoscritti scomparsi nel 1944 e rinvenuti postumi, quando l’autore era già morto e non poteva operare quel minuzioso lavoro di riscrittura che caratterizza le altre sue opere. Si tratta della prima stesura di un resoconto di guerra. Ne ha l’immediatezza e l’incompletezza ed è questo il suo grande valore. Leggendolo, nell’accurata traduzione di Ottavio Fatica, si ha la sensazione di registrare in presa diretta le percezioni incoerenti e gli strazianti sintomi fisici di un ferito sul campo di battaglia dopo il massacro, di osservare lo sfarfallio dei ricordi che il soldato, scampato alla morte, afferra con una coscienza impazzita nel ricovero di un ospedale di guerra.

Guerra di Louis-Ferdinand Céline: la trama del libro

Louis Ferdinand Auguste Destouches, vero nome di Louis-Ferdinand Céline, si arruola volontario nell’esercito francese nel 1912, all’età di diciotto anni. Allo scoppio della Prima guerra mondiale nel 1914 prende parte al conflitto sempre come volontario. Il 27 ottobre 1914, nel corso di una missione nel settore di Poelkapelle (Fiandre Occidentali), viene sbalzato da un’esplosione che lo ferisce al braccio destro (la cui funzionalità sarà compromessa per tutta la vita) e gli causa una lesione cerebrale (con emicranie e acufeni che lo accompagneranno fino alla morte). Da questo episodio trae il suo inizio Guerra: l’alter ego di Céline, Ferdinand, si trova ferito sul campo, sopravvissuto ai suoi commilitoni i cui corpi straziati giacciono tutt’intorno, in una rappresentazione espressionistica della follia della guerra. Il protagonista viene aiutato da un inglese che lo sorregge nel viaggio verso i soccorsi. Sarà ricoverato in un primo ospedale da campo a Ypres e poi trasferito in un secondo, a Peurdu-sur-la-Lys, toponimo che nasconde un gioco di parole («perdu», perduto; «peur du», paura del). Qui Ferdinand conoscerà le cure sollecite dell’infaticabile infermiera L’Espinasse – le cui attenzioni sessuali si dirigono di volta in volta al ricoverato nelle peggiori condizioni – e il compagno di sventure Bébert (il cui nome a un certo punto diventa Cascade) di professione protettore. La moglie di Bébert, Angèle, prostituta giovane e sensuale, sarà il personaggio che assicura al protagonista il lasciapassare verso l’Inghilterra dove Ferdinand immagina che la guerra sia solo un’eco lontana. «I due moli sono diventati minuscoli sopra ai cavalloni spumanti, strizzati contro il loro piccolo faro. Dietro, la città si è rattrappita. Poi si è sciolta nel mare».

«Piccoli tocchi di orrore strappati a un rumore che non finirà mai più»

Nel romanzo si colgono continui riferimenti a episodi o personaggi reali ma presto il racconto si allontana dalla pura autobiografia per farsi rappresentazione di un’umanità alle prese con la violenza, l’autodistruzione, il dolore fisico e le ferite, ancora più gravi, di quello che la psicologia più moderna denominerà «disturbo post traumatico». Nei pensieri allucinati di Ferdinand, nella crudezza con cui racconta i corpi dilaniati dei compagni di stanza in ospedale o gli incontri sessuali di Angèle con i suoi clienti, la vita si riduce alle sue leve fondamentali: violenza, sangue, sesso, morte. L’esperienza della guerra in Céline scrittore alimenta il nichilismo che innerverà le sue opere e la sua vita. Figura controversa per le posizioni antisemite in cui il suo cinismo sfocerà agli albori del Secondo conflitto mondiale, Céline è un concentrato di contraddizioni: medico, curerà gratuitamente i poveri, dopo aver esternato posizioni misantrope e riconducibili al razzismo scientifico; arenato negli orrori della guerra, preda di un’angoscia senza fine, saprà trovare una via di salvezza: la letteratura.

«Ho l’anima più dura, come un bicipite. Non ci credo più alle scorciatoie. Ho imparato a fare musica, sonno, perdono e, come vedete, anche bella letteratura, con piccoli tocchi di orrore strappati al rumore che non finirà mai più».

Le pagine del romanzo dedicate ai genitori, pervase da un odio verso una generazione di padri cieca agli orrori del presente, impegnata nel meschino commercio del quotidiano, negli affari della piccola borghesia («Mio padre era come paralizzato. Di punto in bianco ero diventato qualcuno. Ne parlavano già tutti al passage des Bérésinas della mia medaglia, dicevano. Mia madre aveva la lacrimuccia, la voce commossa. A me però mi dava pure il voltastomaco. Non mi piace la commozione dei miei genitori. Tra noi c’erano conti in sospeso ben più seri. […] Non ho mai visto né sentito niente di più schifoso di mio padre e mia madre».) ricordano alcune pagine di Opinioni di un clown di Heinrich Böll: «“Questo maledetto sognare a occhi aperti” gridò e Henriette (sorella del protagonista Hans, morta nel conflitto, [n.d.r.]) la guardò e disse tranquilla: “Che cosa c’è? Non ho più voglia, ecco tutto”, e gettò le carte che aveva ancora in mano nel fuoco del caminetto. Mia madre tolse le carte dal fuoco e facendolo si bruciò le dita, ma le salvò tutte, meno l’ultima, un sette di cuori che era rimasto bruciacchiato, e noi non potemmo mai più giocare a carte senza pensare a Henriette, anche se mia madre tentava di fare “come se niente fosse”. Non è affatto cattiva, ma soltanto assurdamente stupida ed economa. Non permise che si comperasse un nuovo mazzo di carte; suppongo che il sette di cuori bruciacchiato sia ancora in gioco e mia madre certo non pensa a nulla quando le capita in mano durante i suoi solitari».

Diversi lo stile e la voce dei due autori per quello che sembra uno stesso capo d’accusa: l’incosciente connivenza che la generazione dei figli, travolta dall’orrore della guerra, non può più permettersi.

La scrittura di Louis-Ferdinand Céline in Guerra

Alla lingua di Céline, volutamente sgrammaticata, iperbolica, sporca, parlata, arricchita di neologismi, sempre alla ricerca di una musicalità interna, nel romanzo Guerra si aggiunge il dato di cui si diceva in apertura: si tratta di una prima stesura che l’autore non ha potuto rivedere. Ci sono alcuni punti in cui troviamo le indicazioni paratestuali qualche parola illeggibile, Frase illeggibile a interrompere il fluire della frase. Ci sono i nomi dei personaggi che cambiano nel corso della lettura: Bébert, il compagno di disavventure cercate uscendo dall’ospedale, diventa a un tratto Cascade, della madre di Ferdinand viene riportato un primo nome, Célestine, e poi un secondo, Clemence.

Ma questa scrittura in divenire, non approdata a una forma compiuta, è estremamente tematica, è quella che dà forma esatta al contenuto. Una coscienza frammentata dalla vita al fronte, dal dolore che spezza il pensiero, dall’incertezza della condizione umana non può che esprimersi per slanci e cadute, per omissioni e cambiamenti repentini delle identità a contorno del protagonista.

Quando, però, il dolore allenta la sua morsa e la coscienza può inanellare un pensiero completo, la scrittura si eleva, diventa poesia:

«La giubba e la pioggia, non avevo più nient’altro addosso. E sempre nessuno. La tortura alla testa la sentivo fortissimo nella campagna così grande e vuota. Mi facevo quasi paura da solo a ascoltarmi. Pensavo che avrei risvegliato la battaglia da tanto rumore che facevo dentro».

«E posso dire che ero sincero. Ci sono sentimenti che uno ha torto a non insisterci, rinnoverebbero il mondo dico io. Siamo vittime dei pregiudizi. Non osiamo, non osiamo dire Dagli un bacio! Eppure dice tutto, dice la felicità del mondo».

Chiude il romanzo un commovente finale in cui Ferdinand dedica un pensiero al personaggio negletto di Destinée, mostrando la pietà per la condizione umana che si trova appena sotto la crosta di humor nero e cinismo: «Certo che è enorme la vita. Ti ci perdi dappertutto».

 

A cura di Sara Benedetti

Blam

Articoli Correlati

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *