Barta: storia della casa editrice che non teme i generi
Barta è un progetto nato dieci anni fa intorno a un manoscritto che nessuno voleva pubblicare. È una casa editrice che si propone di fare la differenza senza badare alle differenze tra generi, formati, letteratura colta e popolare.
I fondatori della casa editrice hanno risposto alle domande di Rivista Blam! consentendoci di sbirciare dietro il grande lavoro che sta alla base della selezione dei libri e della loro veste grafica. Ci raccontano di come è nata l’idea del progetto e il motivo per cui si chiama così, ci descrivono le collane in cui si articola l’originale catalogo, che spazia dalla narrativa al comic, dai libri grafici agli illustrati per bambini, fino alle strisce fumettistiche e ai racconti brevi.
Scopriamola insieme!
Quando e perché è nata l’idea di Barta?
Il progetto è nato una decina di anni fa dall’incontro tra tre amici con la passione della lettura. A una fiera a uno di noi era stato dato un manoscritto, Finistère di Andrea Dei Castaldi, per un consiglio e un possibile aiuto a trovare una pubblicazione. Ai tipi di Sellerio era piaciuto e doveva uscire per loro: ma poi, alla morte di Elvira, era rimasto in una sorta di limbo. Noi tre volevamo assolutamente che fosse dato alle stampe e ci siamo detti: non si trova più una casa editrice pronta a scommetterci? Allora la fondiamo noi! E così è stato: Finistère è stato il nostro primo libro (e la scommessa è andata bene, è esaurito e prossimo alla ristampa).
Da dove deriva la scelta del nome «Barta»? E cosa simboleggia il logo?
Mentre parlavamo convivialmente della cosa, ci eravamo fermati ai lati di una strada dove c’era, semispenta, l’insegna di un «bartabacchi». La parte che mancava era «bacchi», è restato Barta (ma Bacco non manca mai alle nostre riunioni editoriali).
Il logo è l’immagine della copertina di Finistère trasformata, un’opera di Ichijô Narumi (1877–1910), un’immagine delicata e potente che amiamo molto.
Chi si nasconde dietro Barta?
Arianna Luperini, Silvia Baldassari, Andrea Settis Frugoni (con varie quinte colonne, come Antonello Pintus, Carla Muschio, Mariolina Camilleri…): persone innamorate dei libri e passate, ma non troppo, dall’altra parte della barricata.
In base a quali criteri scegliete i libri da pubblicare?
Lo abbiamo scritto anche sul nostro sito. Il criterio è pubblicare i libri che vorremmo leggere (è il nostro motto), con tanti saluti alle divisioni tra letteratura alta e letteratura bassa, o – se così piace – letteratura colta e letteratura popolare. Per noi la distinzione è più semplice: bei libri e brutti libri, con altrettanti saluti anche alle distinzioni di genere.
Parlateci delle collane.
Le prime due collane nate tra Pisa e Lucca sono state: qzerty/qwerty, di narrativa scritta; fumisterie, di narrativa fumettata. E poi sono arrivate le altre: circometrò, opere grafiche che non sono né libro né fumetto; [s/confini], in cui si narra, si spiega, si testimonia di salute e cura; quando io sarò grande e tu sarai molto piccolo, libri illustrati per bambini approvati dai bambini; strippi, di strisce a fumetti; fino all’ultima nata, qop, di racconti e romanzi brevi.
Le copertine dei libri hanno una grafica accattivante. Quale lavoro viene fatto e come si sceglie la grafica adatta?
Per noi il piacere di leggere inizia col fatto fisico di prendere in mano il libro (non facciamo libri elettronici), per cui ci teniamo molto che anche questa esperienza sia piacevole: scegliamo con cura la carta della copertina e degli interni (con attenzione alla sostenibilità ambientale delle materie impiegate). Per la grafica, nasce dal libro: la copertina è l’ultima cosa che facciamo, è il volume stesso che in qualche modo chiama una immagine, nel caso si peschi da immagini esistenti; oppure ci rivolgiamo ad alcuni illustratori che stimiamo molto, e l’immagine germoglia in loro.
Quali sono le ultime pubblicazioni? E cosa avete in cantiere?
Abbiamo da poco varato una collana di racconti e romanzi brevi, qop, dove abbiamo pubblicato romanzi brevi (Piccolo corpo di Gaia Tarini, La prima legge di Aguirre di Tita Prestini, L’estate che risolse ogni cosa di Elvira Lanza) e racconti (Dietro le palpebre di H.G. Wells, Varchi di Marco Cipollini, Buffo come, perché buffo? di Stefano Zattera); per i fumetti, un antologico a fumetti del «nume underground» Stefano Zattera, Archeology; e una incredibile prova di bravura di Ki, che ha messo insieme circa 150 opere di Henri de Toulouse-Lautrec in un mash-up che trasforma il pittore in uno straordinario autore di fumetti (il volume si chiama Fino a 21); per i romanzi, La malaintesa di Yolaine Destremau (una storia di violenze coniugali dolorosa e necessaria di cui siamo orgogliosi editori, come di tutte le cose di Destremau) e Una breve estate lontano dalla polvere, il terzo giallo con protagonista Settembrini di Tita Prestini, che diventa più bravo e intenso a ogni libro.
Per il futuro prossimo abbiamo Il rumore bianco di Yolaine Destremau, un romanzo breve che è una specie di giallo con protagonista un ragazzo autistico; uno speciale a fumetti su Pasolini, numero 13 dell’inesistente rivista «Tormento» con camouflages dei classici a strisce di un Luca Ralli strepitoso, opere originali di Andromalis, Marco Corona, Gardums & Ki, Guglielmo Manenti, Andy Prisney, Stefano Zattera, e interventi di Nanni Spano e Alessio Trabacchini; un lavoro di Ki & Lapidalagallina intitolato Luoghi introvabili a metà tra opera grafica e podcast, una cosa un po’ folle e sapidamente divertente; e finalmente Macchine malvagie di Terry Jones, uno dei Monty Python, tradotto per noi da Carla Muschio.
In quali difficoltà vi siete imbattuti, se ce ne sono, nel vostro lavoro di editori?
La distribuzione! E la distribuzione. E poi la distribuzione. E un po’ la mancanza di tempo e risorse per fare tutto quello che vorremmo. E la distribuzione.
A cura di Giusi Chiofalo