Il racconto del mercoledì: Bla, Bla… Blam! di Paola Curia
La donna al mio fianco è logorroica.
È uno di quei personaggi che ha sempre troppo da dire. Blatera qualcosa sulla crisi economica e di come sia difficile oggi trovare gente fidata. Io abbasso lo sguardo e mi ricordo di avere un conto in sospeso con la pellicina dell’indice destro. Mi tormenta da un po’ di tempo e, ogni volta che l’unghia coinvolta inizia a pulsarmi, come se il cuore fosse scivolato fino a lì, mi irrito e ricomincio a stuzzicarla con la lingua.
Le parole dell’anziana continuano a riempire la stanza, «bla, bla, bla…», e più parla e più il cuore sotto l’unghia batte forte.
Tra poco è il mio turno. Ho aspettato due ore in piedi, perché noi figli di titolari non abbiamo priorità su nulla, neanche su una messa in piega, anzi dobbiamo dare la precedenza ai clienti perbene che, con qualche euro, riescono a mantenere me, l’attività di mia madre e il rompipalle di mio fratello.
La tipa accanto ha già passato la settantina penso, e credo che di questi decenni almeno tre li abbia trascorsi a cercare la parrucchiera con la migliore offerta. Pensava di averla trovata qui, da PaolAirStyle, ma suppongo abbia cambiato idea poiché adesso borbotta arrabbiata.
«Bla, bla…», dice di sentire uno strano bruciore, «…proprio qui, alla base della nuca. Non mi era mai successo, bla, in tutti questi anni, bla, ma che prodotti usate diamine? Ora si spiegano i prezzi così bassi… bla, bla, bla…», lo dice scattando in piedi nervosa, «…del resto dovevo capirlo dall’errore sull’insegna. Risparmiare sulla lettera h cambia l’intero concetto della parola, bla. Aria, ecco cosa vendete voialtri, aria fritta!».
Non la guardo nemmeno, questa stronza! Ma cosa vorrebbe insinuare? Che i prodotti di mia madre sono scadenti? Che sta risparmiando sull’intera linea?
«Signora, io vengo qui da tanti anni e non ho mai avuto problemi!», sussurro io con voce pacata e mostrandole un sorriso rassicurante. Non voglio che lei sappia che io sono figlia di. Deve credere che io sia una delle tante clienti soddisfatte.
La vecchia mi fissa, poi si alza e va a sedersi sulla poltrona vuota davanti allo specchio. Nessuno l’ha chiamata, ma lei sa che è il suo turno, o almeno pretende che lo sia. Continua a grattarsi dietro l’orecchio destro e mentre lo fa, lo scampanellio dei suoi orecchini pendenti mi riporta al rumore dei miei ciondoli durante il periodo da shampista qui nel negozio. Mi offro di farle lo shampoo.
«Signora Paola», dico a mia madre, «se lei è occupata, potrei lavare io i capelli della signora». La titolare guarda incredula e confusa: i rumori del phon da 3000 watt che tiene in mano e del casco in raffreddamento sulla poltrona adiacente, non le consentono di capirci granché. Dunque, invito al lavabo la vecchia che accetta titubante di farsi mettere le mani in testa da me mentre io, ansiosa, tiro su le maniche. Allungo la doccetta al massimo e mentre la pellicina inizia a ribattermi prepotente sotto l’unghia, giro il cordone d’acciaio intorno al collo esile della signora. Stringo forte, sempre più forte, mentre l’unghia pulsa come se volesse esplodere. La donna si dimena senza che nessuno possa sentirla, l’aria fritta è cosi pesante da coprire alla perfezione il suo insopportabile blaterare.
Paola Curia
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Foto di apertura di Luis Calçada
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