Timeo: una nuova casa editrice indipendente che vuole stupire. La storia
Timeo è una nuova realtà nel panorama delle case editrici italiane, pensata nell’agosto 2022 e nata all’inizio di quest’anno. Corrado Melluso – uno dei fondatori insieme a Federico Antonini, Federico Campagna e Assunta Martinese – ha risposto alle nostre domande, raccontandoci dettagli e curiosità su questa neonata creatura editoriale. Dalle ragioni del nome alla costruzione del catalogo, dai criteri di selezione dei titoli al pubblico elettivo, fino all’ideazione delle copertine e alla realizzazione dell’oggetto libro, Rivista Blam! vi racconta una casa editrice che analizza e critica l’esistente attraverso la speculazione e l’immaginazione.
Ecco Timeo nelle parole di chi l’ha creata, buona lettura!
Quando e perché è nato il progetto Timeo?
Abbiamo iniziato a pianificare tutto nell’agosto 2022 e i primi libri sono usciti tra il febbraio e il marzo del 2023, ed è nato, per citare le ragioni fondative di un’altra, ben più nota e più nobile casa editrice, «per pubblicare i libri che ci piacciono». Dopo tanti anni a lavorare soltanto di tanto in tanto a libri davvero importanti, o dopo averlo fatto in contesti sbagliati (perché una delle regole principali dell’editoria è che il contesto di pubblicazione vale quanto il testo pubblicato), abbiamo deciso, molto banalmente, di fare quel che abbiamo imparato a fare in tanti anni di pratica professionale come crediamo che andrebbe fatto. Ovvero ribaltando molte regole dell’editoria classica, pur mantenendone altrettante.
Chi c’è dietro la casa editrice?
Quattro persone che «la fanno»: io, Federico Antonini, Federico Campagna e Assunta Martinese.
Perché avete deciso di chiamarla così?
Per la doppia, anzi tripla, significazione possibile. C’è chi lo legge accentandolo come il dialogo platonico, e ci piace senz’altro questo accostamento da casa editrice già classica, quasi «polverosa», da memoria liceale, che pone però lo scambio dialogico come primo riferimento di una cultura che si divulga e si evolve nel corso del tempo. Poi si può spostare l’accento, e leggerlo alla latina e pensare al timore, alla paura che il tempo presente e l’immaginazione speculativa possono portare.
E, infine, ci piace contrapporre all’identità classicheggiante quanto si può leggere dentro Timeo ragionando secondo termini di sostituzione omografica, come avrebbero fatto gli amanti della letteratura potenziale, e fare scaturire così un Time0, un tempo iniziale della creazione insieme immaginifica e linguistica, che dà il nome al nostro secondo sito, www.time0.zone – un piccolo social network autocostruito dove vogliamo sviluppare con la nostra comunità di lettori e lettrici quello scambio dialogico già inscritto nel nome della casa editrice.
Sul vostro sito affermate che le pubblicazioni saranno quindici l’anno. Quali sono i motivi di tale scelta?
Il numero di libri deve essere armonico: deve, da un lato, bastare al tipo di intervento che si intende fare nel dibattito culturale, dopodiché deve essere bastevole a sostentare la struttura che si ha in mente. Quindici titoli l’anno sono un ottimo punto di bilanciamento tra la quantità di cose che avremmo da dire e lo spazio d’attenzione che possiamo puntare ad avere, tra le necessità strutturali interne e le logiche editoriali esterne. Pubblicandone meno rischieremmo di scomparire dall’attenzione pubblica, e di doverci limitare nell’affrontare i temi che ci interessano e nelle modalità narrative che ci sembra importante sperimentare.
In base a quali criteri vengono scelti i titoli?
Secondo nostra sensibilità, senso estetico e convinzione ideale. Troppo spesso le case editrici sono definite da quel che pubblicano, e si legano a dovere fare dieci/quindici/venti libri di uno stesso genere ogni anno, idealizzando peraltro l’esistenza di un lettore-tipo che legge soltanto quel genere lì. Noi, al contrario, vorremmo che i nostri libri fossero definiti da quel che pensiamo, da quel che ci piace, ci interessa, non da tassonomie astratte. Nel mio privato leggo tanta saggistica quanta narrativa, leggo poesia e forme ibride di sperimentazione libraria, che ruotano tutte intorno a un senso estetico, una visione del mondo: ed è questo, in ultimo, la cosa che mi sembra più utile tentare di fare in una casa editrice oggi. Stupire sé stessi e il proprio pubblico con scritture che siano sempre inedite, sempre inusitate, che sappiano spingerci a pensare e a scrivere cose ancora più incredibili, che un domani avremo voglia di pubblicare.
Esiste, dunque, un collegamento tra le varie pubblicazioni? Di cosa parlano i primi libri?
Se dovessimo cercare un filo rosso che li lega, credo potremmo trovarlo in una critica radicale e reattiva all’esistente. Col primo libro tentiamo di dare un nuovo significato alla parola «utopia», come un qualcosa che si è dato – eccome! – nel tempo, e che però ci è stata negato.
Poi passiamo a ragionare sull’esistente e sul come «hackerarlo», attraverso le meditazioni e le pratiche di Pauline Oliveros.
Poi analizziamo il paper fondativo del Bitcoin, per dar luogo a un disvelamento progressivo di quella che crediamo sia la tecnologia più iperstizionale che oggi ci offre l’ideologia anarcocapitalista.
Infine, in questo primo quartetto di libri, invitiamo alla diserzione: dalla guerra, sì, ma anche dal sistema economico che l’ha causata, dal lavoro, dal consumo e finanche dalla procreazione.
Vogliamo insomma sfidare i nostri lettori a non vivere il presente come inevitabile, e cercare continuamente via di fuga e di resistenza, sfidare l’immaginazione in vista di un (soltanto oggi) impensabile rovesciamento dell’esistente.
Qualche anticipazione sulle prossime pubblicazioni?
Tra le prossime pubblicazioni, le più importanti sono sicuramente Ottimismo crudele (di Lauren Berlant [N.d.R.]) e Materia vibrante di Jane Bennett, oltre ai libri dell’autunno che lanceremo tra qualche mese.
Il primo è un saggio che credo cambi l’autopercezione di chiunque lo legga: sentimento principe del realismo capitalista fisheriano, l’ottimismo crudele è quell’automatismo che porta a posticipare il piacere. Interviene quando pensiamo «questo fine settimana resto a casa a lavorare» nella certezza che questo, un giorno, ci porterà a una vita felice – e invece la vita passa infelice, e quel giorno non si dà mai. In questo sta l’ottimismo crudele, che ci porta a correre dietro un sogno che in fondo sappiamo che non s’avvererà.
Materia vibrante di Jane Bennett, invece, è un libro ormai classico del materialismo vitale e del pensiero ecosofico e femminista, e interesserà chiunque senta il bisogno di un nuovo tipo di relazione con la materia, gli eventi e gli esseri che ci circondano.
Qual è il vostro target?
Come scrivevo qualche riga su, non ragioniamo in termini di target, che ci sembrano sempre restituire una tassonomia astratta di pratiche che non si realizzano mai, e d’altro canto ti legano a un singolo tipo di produzione, che sia di narrativa letteraria, di genere o uno specifico tipo di saggistica. Pensiamo insomma sia più interessante, sia per noi che per i lettori, non limitarci a un genere o a un target, ma esplorare quanto di più sperimentale e avanzato c’è nell’editoria libraria internazionale.
Come scegliete la grafica delle copertine e il packaging?
Non seguendo, appunto, un genere o un target, tentiamo attraverso la grafica e il packaging di comunicare già il contenuto del libro, esaltandolo in qualche modo e considerando anche i gesti grafici e i materiali linguaggi significanti, così come dovrebbe essere. A ogni libro cambieremo allestimento, carte di copertina e modalità di stampa, in maniera tale da superare il concetto di standard e di ragionare continuamente su quel che vorremmo leggere e vedere in libreria.
A cura di Giusi Chiofalo