Mi limitavo ad amare te di Rosella Postorino: la drammatica vicenda dei bambini di Bjelave. Recensione
Mi limitavo ad amare te (Feltrinelli, 2023) è l’ultimo romanzo di Rosella Postorino, scrittrice, editor per Einaudi Stile Libero e collaboratrice per il quotidiano «la Repubblica» e il magazine «Rolling Stone». La sua carriera in ambito letterario vanta numerose pubblicazioni e successi di rilievo internazionale. L’esordio narrativo è nel 2004 con il racconto In una capsula, pubblicato all’interno dell’originale antologia Ragazze che dovresti conoscere (Einaudi Stile Libero, 2004), che raccoglie storie al femminile per lo più di giovani autrici esordienti. Nel 2007 il primo romanzo, La stanza di sopra (Neri Pozza, 2007), già vincitore del premio Rapallo Carige Opera prima, entra nella rosa dei finalisti dello Strega.
Il 2018 è l’anno del successo internazionale di Le assaggiatrici (Feltrinelli, 2018), romanzo tradotto in più di trenta lingue, e insignito di prestigiosi riconoscimenti letterari in Italia e all’estero, tra i quali il premio Campiello, il premio Rapallo, e il prix Jean Monnet.
Mi limitavo ad amare te di Rosella Postorino: la trama del libro
Omar ha cinque anni quando sua madre lo porta all’orfanotrofio di Bjelave a Sarajevo, insieme a suo fratello Senadin, detto Sen, di due anni più grande. Da quel momento, il rapporto tra la madre e i figli si riduce agli incontri durante le visite settimanali. Omar vive costantemente nel tormento dell’assenza della madre e trascorre la settimana seduto in ginocchio sulla sedia davanti alla finestra, come un cane che aspetta ansioso il ritorno del padrone. Per Sen, invece, accettare di incontrarla di tanto in tanto, come fosse una zia in visita, non è abbastanza, per questo preferisce non farsi mai trovare: «O sei mia madre, o niente».
Quando nella primavera del 1992 scoppia il conflitto armato fra Serbia e Bosnia Erzegovina, Omar ha dieci anni. La città di Sarajevo, arrotondata come una conchiglia, «una forma che ha sempre fatto sentire protetti i suoi abitanti», viene circondata e assediata da ogni parte dalle milizie serbe. E in un uggioso pomeriggio di maggio l’esplosione di una granata strappa Omar dall’abbraccio di sua madre, con la quale passeggiava in prossimità dell’istituto. Quando Omar riapre gli occhi, lei è scomparsa, svanita nel nulla. Di fronte a lui soltanto il volto sconosciuto di un uomo con un berretto da militare che gli intima di correre e mettersi al riparo dai bombardamenti e dai colpi dei cecchini. A parte l’assordante fragore dell’esplosione e il brusio di gemiti tutt’intorno, di quel tragico giorno a Omar rimarrà impresso solo il ricordo della voce di sua madre, un’eco lontana che gli grida «corri», l’odore di stufa a legna sul suo collo, l’immagine delle sue rughe simili ai baffi di un gatto, ai lati del naso. Poi nient’altro, se non la speranza che sua madre non sia morta in quel pomeriggio di primavera.
In orfanotrofio è Nada – la bambina senza anulare, dagli occhi celesti e una vena a forma di ipsilon sulla fronte – a consolare il pianto di Omar, prendendolo per mano e suggellando, con quel gesto, una solidarietà fraterna destinata a unirli per tutta la vita.
Dopo tre mesi di assedio, una mattina di luglio, due convogli scortati da un blindato dell’Onu vengono a prelevare i bambini di Bjelave per trasferirli in Italia. Sul convoglio Nada conosce Danilo, un ragazzo di quasi quattordici anni che siede sul sedile accanto al suo. Quando, il primo giorno di viaggio, i militari serbi fanno irruzione sul pullman per la perquisizione, è la mano monca di Danilo a rassicurare Nada e a darle conforto con il suo palmo caldo, superando il disagio della mutilazione. A differenza di suo fratello Sen, Omar è restio a quella partenza, non vuole stringere amicizia con nessuno né andare in Italia, un Paese straniero ed estraneo, dove nessuno lo attende. Durante il tragitto, ignora Nada perché si sente escluso dalla sua nuova amicizia, come un innamorato rifiutato. La sua tenace ossessione rimane sempre la stessa: e se sua madre fosse ancora viva e lui l’avesse abbandonata lì fra le bombe e le granate? E se fosse tornata all’orfanotrofio e non l’avesse trovato come sempre ad aspettarla?
Dopo un viaggio estenuante, bambini e ragazzi vengono finalmente imbarcati su un aereo dell’Esercito italiano con destinazione Milano. In aeroporto vengono accolti da una folla di giornalisti e da applausi fragorosi e, dopo una notte trascorsa nelle camerate della Protezione civile, vengono divisi in due gruppi per sesso ed età, e smistati in istituti e centri diversi.
Per Omar, Sen, Nada e Danilo l’arrivo in Italia rappresenta l’inizio di una vita nuova ma non più facile: devono infatti fare i conti con tutte le difficoltà che comporta l’espatrio in una terra straniera, in qualità non soltanto di orfani ma anche di profughi e rifugiati. Seppure per ragioni differenti, l’infanzia di ognuno di loro è segnata da uno strappo, un senso di distacco e di perdita, tanto dai luoghi quanto dalle persone care. Per questo motivo, il solo desiderio che anima le loro esistenze è quello di colmare il vuoto determinato da queste dolorose sottrazioni: chi cercando una madre, un fratello o un padre a cui ricongiungersi; chi un’altra vita, una nuova famiglia o identità, che lo faccia sentire finalmente accettato, accolto, amato.
L’assedio sarebbe durato quattro lunghi anni, alla fine dei quali – contrariamente alle disposizioni iniziali che avevano previsto l’espatrio come misura di allontanamento temporanea – tutti i minori, per intercessione del Tribunale di Milano, verranno affidati in adozione a famiglie italiane. Saranno i profondi rapporti di solidarietà e lealtà, maturati e consolidati negli anni, nonostante le vicissitudini, le separazioni e le distanze, a costituire per i ragazzi una base solida alla quale ancorare la costruzione di un futuro possibile.
Una cronaca di sentimenti universali
Mi limitavo ad amare te è un romanzo ispirato a storie vere: la guerra del ’92 nei territori dell’ex Jugoslavia e l’espatrio dei bambini del Bjelave da Sarajevo, caduta sotto i colpi di cecchini e soldati serbi. Mentre fuori la guerra imperversa nei cieli e lungo le strade della capitale bosniaca, ognuno dei personaggi della storia è impegnato a combattere anche la propria battaglia privata: chi con coraggio e ostinazione cercando di guardare sempre avanti e relegando il passato al passato, e chi, invece, provando a ricominciare con il passo che incespica tra debolezze e vulnerabilità. All’interno della lucida cronaca di guerra, l’autrice lascia spazio a riflessioni più ampie e fa posto a sentimenti universali: la responsabilità di essere genitori; il bisogno viscerale di un figlio di sentirsi amato; il trauma dell’abbandono e del rifiuto; il senso di appartenenza alla propria terra e alle proprie radici, nonostante tutto; la difficoltà di amare una famiglia che non è la propria; la volontà di essere un genitore migliore dei propri padri e delle proprie madri. Una riflessione sulla vita, quella che non si è scelto di vivere ma che ha inizio con lo shock del primo strappo, quello della nascita: «Ci sono persone che di fronte alla possibilità imminente della morte si attaccano con accanimento maggiore alla vita. La dimensione biologica ci sovrasta, precede la nostra stessa identità. Nasciamo corpo e quel corpo ci appartiene, lo sentiamo ben prima di definirlo io. Ci sono persone che, nelle cantine gremite per sfuggire alle bombe, si sono innamorate, o hanno dato il primo bacio, raggiunto un orgasmo, persone che durante la guerra hanno deciso di sposarsi, e partorito figli. Ci sono persone che sfidano la morte semplicemente vivendo, nel modo più intenso possibile: dato che prima o poi la morte trionfa, fino a quell’attimo ha senso solo essere vivi per davvero, con tutta la prepotenza del corpo».
La scrittura di Rosella Postorino in Mi limitavo ad amare te
L’autrice scava con precisione nell’animo umano, mettendo a nudo le fragilità, i conflitti interiori e le ambivalenze dei personaggi, che emergono da queste pagine come in carne e ossa, denudati, vulnerabili, esposti. Una scrittura che non si preoccupa di mostrare gli errori e gli orrori della guerra e le responsabilità delle parti, in modo a volte spiazzante e brutale; ma che sa anche far affiorare, dal disastro, i sentimenti più umani e durevoli: l’amicizia e l’amore. I fatti storici sono raccontati con grande chiarezza espositiva, mentre l’invenzione narrativa si intreccia con equilibrio alla Grande storia.
A cura di Clara Frasca