Tasmania di Paolo Giordano: l’autofiction che ritrae l’apocalisse moderna. Recensione
L’atteso ritorno di Paolo Giordano in veste di scrittore rappresenta una netta presa di distanza dai romanzi precedenti – La solitudine dei numeri primi (premio Strega 2008) o Divorare il cielo (Einaudi, 2018) –, in cui l’autore ci aveva abituati a una precisa poetica dell’adolescenza, a romanzi di formazione colmi di esuberante follia. Tasmania, invece, (libro dell’anno, secondo la classifica di qualità pubblicata da «la Lettura») si inserisce a pieno nel genere autofiction e racchiude una visione più matura, contemporanea e a tratti disillusa, dei nostri tempi.
Tasmania di Paolo Giordano: la trama del libro
Il protagonista del romanzo, che si racconta in prima persona, è P.G., scrittore e laureato in Fisica che collabora come giornalista con un noto quotidiano nazionale. Uomo curioso, appassionato di scienza ed esperto di cambiamenti climatici, alla soglia dei quarant’anni e dopo l’epidemia di COVID-19, P.G. si trova a passare in rassegna gli ultimi dieci anni della sua vita. La crisi con la compagna Lorenza, l’amicizia con il climatologo Novelli e le vicissitudini che lo legano all’amico Giulio si intersecano alle angosce e ai temi caldi dei nostri tempi: dalla serie di attentati a matrice islamica in Europa – prima fra tutti la strage del Bataclan – all’attenzione crescente dei media verso il problema del cambiamento climatico, fino alla questione di genere.
P.G. si confronta con un mondo che mette a dura prova l’esistenza individuale e collettiva, e alimenta l’istinto all’estraniamento. La Tasmania è, dunque, il luogo immaginato per difendersi, per salvarsi dall’incertezza, climatica e sociale, che – è solo questione di tempo – condannerà la Terra. Ma più che meta di salvezza reale, l’isola australiana diviene metafora del riparo dalle insicurezze in cui vive l’uomo contemporaneo: «Sì, ha aggiunto con maggior convinzione, se fossi costretto a salvarmi, sceglierei la Tasmania».
Trovare una via di fuga alle paure che ci paralizzano
Il nuovo libro di Paolo Giordano contiene molti spunti di riflessione. Il romanzo si sviluppa come una successione di episodi che, nel tempo, definiscono il protagonista attraverso le relazioni, spesso disfunzionali, con le persone che lo circondano. Alle vicende private, si sovrappongono considerazioni di carattere generale, che sono occasione per elencare conoscenze scientifiche, definire termini, inserire riflessioni tanto interessanti quanto angoscianti. Quello di Paolo Giordano è un mondo carico di tensioni: dai rapporti di coppia agli eventi atmosferici, dal dibattito sul femminismo all’energia nucleare. Questa carica si traduce nel sentimento di inquietudine e sopraffazione che paralizza il protagonista, rendendolo di fatto incapace di reagire, se non immaginando improbabili vie di fuga. Anche la lunga digressione sulla realizzazione della bomba atomica sembra voler condensare l’energia dispersa in un universo che sembra essersi arreso al conflitto: «Se ripenso oggi alla fine del 2019 mi viene in mente un senso di stanca inevitabilità, come se la disillusione avesse ormai impregnato a fondo i tessuti cerebrali di ognuno».
La scrittura di Paolo Giordano in Tasmania
L’autore cerca di far coesistere il dramma esistenziale con la divulgazione scientifica. Per questo, la prosa adottata da Paolo Giordano – a differenza dei romanzi precedenti, carichi di immagini poetiche – risulta più asciutta, ricca di termini tecnici e attenta ai linguaggi moderni. Non stupisce che gaslighting – termine che designa una forma di manipolazione psicologica e di cui l’autore si premura di precisare il significato – sia stata appena nominata «Parola dell’anno 2022».
La scrittura di Giordano si presta perciò a raccontare i meccanismi del presente, siano questi relazionali o sociali: «[…] non eravamo solo una storia d’amore in crisi, eravamo anche un’infinità di altri aspetti inestricabili: un sistema di abitudini consolidate, una rete di relazioni sociali, un apparato burocratico. Dovevamo continuare a funzionare. E continuare a funzionare ci costava pochissimo».
A cura di Silvia Ognibene e Natale Vazzana