Colibrì Salamandra di Jeff VanderMeer: disvelamento su un mondo alla fine. Recensione
Colibrì Salamandra (Einaudi, 2022; traduzione di Vincenzo Latronico) è l’ultimo romanzo di Jeff VanderMeer, padre del new weird e autore riconosciuto internazionalmente a partire dalla Trilogia dell’Area X, composta dai romanzi Autorità, Accettazione e Annientamento – da quest’ultimo Alex Garland ha tratto il film omonimo distribuito da Netflix. Un biglietto, un animale estinto e l’indagine di una protagonista che si improvvisa detective sono gli ingredienti di Colibrì Salamandra, un eco-thriller, ma anche un romanzo dalle ambientazioni gotiche e orrorifiche, in cui tornano, ancora una volta, l’attenzione per i temi ambientali e l’ecologia.
Colibrì Salamandra di Jeff VanderMeer: la trama del libro
Siamo in un luogo e in un periodo non meglio precisati degli Stati Uniti. Jane è un’ex wrestler, «un donnone», che lavora come analista per un’azienda di cybersecurity. La sua è una vita ordinaria, ha un marito e una figlia e una quotidianità scandita dai rituali domestici, come la preparazione della cena, o quella prima di andare a dormire. Un giorno Jane, seduta al solito posto nel solito bar, riceve un biglietto che la indirizza in un deposito. Qui trova un colibrì imbalsamato, un animale che nell’epoca di Jane è già estinto, e il cui possesso è un reato. Grazie alle conoscenze da analista, Jane non impiega molto a capire chi è il mittente di un regalo tanto pericoloso: Silvina Vilcapampa, sulla carta data per morta e accusata di ecoterrorismo, e tuttavia figlia diseredata di un miliardario coinvolto, fra gli altri, nel traffico di animali esotici. In qualche modo Jane si lascia trascinare dal richiamo di Silvina. Abbandona la famiglia, usa i colleghi per le informazioni di cui ha bisogno per avvicinarsi alla verità su Silvina, ma anche sul passato di Jane stessa, di un padre assente, di un nonno alcolizzato e violento, di un fratello amato e morto tragicamente. A raccontare il susseguirsi delle vicende è Jane che ricostruisce la storia come se si trattasse di una lunga lettera-testamento rivolta a un lettore immaginario.
Disvelamento e poli narrativi
L’errore che si potrebbe fare, leggendo questo romanzo, è di pensare di trovarsi dinanzi a un classico thrillerone ecologico. Certo, grosso modo le caratteristiche ci sono tutte: gli aspetti tipici del romanzo thriller uniti all’attenzione verso la componente ambientale con un protagonista che riveste il ruolo del salvatore. Ma considerare Colibrì Salamandra solo questo, sarebbe riduttivo. È vero che la storia qui narrata, a differenza che in altri romanzi di VanderMeer, ha un andamento più classico, con un ordine cronologico e la presenza di una trama; è vero pure che la componente weird – o eco-weird che dir si voglia – così come quel certo animismo postmoderno, per cui si affida a entità non-umane la speranza del cambiamento, sono aspetti trattati in modo meno estremo, ma sono comunque presenti. E infatti Colibrì Salamandra è un romanzo a carica fortemente filosofica e simbolica, tenuto insieme da un polo positivo (il colibrì) e uno negativo (la salamandra). Tra i due poli si muove il flusso narrativo. A confermarci che questo romanzo è a polarità elettrica è l’indizio nel biglietto lasciato da Silvina a Jane: «Colibrì .. .. .. Salamandra»; è nello spazio occupato dai puntini tra le due parole che Jane – e la narrazione tutta – si muove: «Più osservavo quel pezzetto di carta, più quelle coppie di puntini mi divoravano. In quelle coordinate c’era qualcosa che mi scrutava, e se qualcosa mi stava scrutando era troppo tardi per tirarmi indietro. Codice o simbolo, richiesta di aiuto, o allarme?»).
Il colibrì è il polo che spinge Jane a mettere in discussione la sua esistenza fino a quel momento anestetizzata dalla quotidianità («vivevamo in una versione generica della realtà»), ceca dinanzi ai cambiamenti climatici che si stanno avverando sullo sfondo e che da lontano si avvicinano sempre più velocemente. La salamandra invece – il disvelamento del suo significato innanzitutto personale – funge da cambio di passo per Jane affinché accolga la verità sul mondo – più volte annunciata da Silvina nel diario superstite e che la protagonista ritrova – e dia seguito una volta per tutte alla missione. «Disvelamento» è l’accezione per descrivere i due poli del colibrì e della salamandra. E in generale è questo che racconta il romanzo – al di là dell’essere un eco-thriller, che è solo una cornice – e la cui essenza è sullo sfondo, proprio come lo è la crisi climatica per l’umanità. Mostrare a Jane – e di conseguenza al lettore – la verità su un mondo che sta finendo e costringere a guardare per davvero gli effetti autolesionistici dell’azione umana sulla natura.
La carica simbolica del colibrì e della salamandra
Il colibrì e la salamandra hanno una carica simbolica al di là della precipua funzione narrativa disvelante in senso heideggeriano («Ben presto la mia malattia sarebbe peggiorata. Avrei notato qualcosa che Silvina aveva notato da giovane: tutte le cose morte che infestano la nostra vita […] un’esposizione continua, quotidiana, di animali morti, interi o a pezzi […]. Uno sterminio vastissimo, di vite, di menti»). Rappresentano altresì un modo di essere di Jane e un modo di conoscere il mondo. «I colibrì sono estremisti, sia da un punto di vista estetico che aerobico». A leggere le informazioni sulle migrazioni dei colibrì, costretti a spostarsi – fino a prima dell’estinzione – seguendo percorsi migratori sempre più difficili per colpa della cementificazione selvaggia («Dovevano volare sempre più a lungo per trovare un po’ di cibo, d’acqua. E in Sudamerica il riscaldamento climatico li spingeva sempre più in quota sulla montagna»), a Jane viene da chiedersi: «Ho cercato di immaginarmi cosa potesse significare adattarsi a compiere tragitti così lunghi, attraverso territori tanto diversi. […] Che trasformazioni avrebbe dovuto subire un essere umano per sopravvivere in posti del genere senza attrezzatura? Non sarebbe cambiata anche la tua prospettiva? Non saresti diventato qualcun altro?». Cosicché, come per il colibrì, anche Jane sarà costretta a un viaggio epico; gli eventi che a catena cambieranno la sua esistenza sono territori diversissimi, in cui la sopravvivenza sarà resa «possibile solo da una specializzazione incredibile». La salamandra, legata al ricordo del fratello scomparso con il quale durante l’infanzia Jane organizzava spedizioni di ricerca, è per Jane il modo in cui è costretta a conoscere il mondo, a conoscerlo per davvero, e per farlo dovrà ferirsi, come accade alla salamandra: per difendersi da un’aggressione espande il costato fino a squarciare la pelle da cui è emesso un potente veleno. Il veleno ferisce l’aggressore, ma anche la salamandra che «scopre il proprio nemico attraverso una ferita autoinferta. In un certo senso, è così che scopre lo stato del mondo». La sopravvivenza, se di sopravvivenza si può parlare dinanzi a un mondo a un passo dalla fine, sarà per Jane un processo di mutazione irreversibile.
L’aspetto fantasmatico della natura e dei suoi abitanti
Ciò che è in primo piano – tutte le vicende legate a Jane e agli altri personaggi – funge da lanterna magica, proietta sullo sfondo una natura deformata – straniata e straniante – e ci restituisce un’ambientazione in cui animali, piante, e persino umani, sono presenze fantasma, spettri vagabondi: «[…] il mondo era pieno di gente che saltava dal balcone e rompeva il pianeta. Ma la verità era quella che aveva visto Silvina: eravamo già fantasmi». Ancora: «Nel corridoio di bosco fra casa nostra e il vicino, abitato da bisce e conigli e cerbiatti come presenze fantasma». E in questo senso il romanzo acquista una connotazione gotica, orrorifica, nel significato più attuale del termine, perché introietta tutte le paure del presente: il mostro qui è l’umano che si muove fra le cattedrali tetre del capitalismo, mentre l’elemento sovrannaturale non può esistere perché in un presente com’è quello di Jane non c’è più nulla di irreale da immaginare.
Lo scollamento tra Umwelt e Mensch
«Se stai leggendo fa’ conto che sia già morta»: è così che inizia Colibrì Salamandra. Al di là dell’efficacia narrativa di un simile incipit, ciò che qui si legge è un monito per il lettore e che pare provenire dal futuro. A parlarci è Jane, che quel futuro lo sta vivendo e pare dire al nostro presente: ad aspettarvi c’è solo questo: nient’altro che morte. Eppure si rinviene in Jane anche un bisogno di speranza, tanto che a un certo punto della narrazione si rivolge nuovamente al lettore immaginario di questa lunghissima lettera-testamento e chiede: «Sei ancora qui? Posso contare sulla tua presenza? Sulla tua perseveranza. Sul fatto che qualcuno sia perseverante. O continuerò a scrivere solo a me stessa?».
Un romanzo, questo, che entra a pieno titolo nella letteratura della fine, soprattutto per quella parte che ha fatto della questione climatica il punto focale. In Colibrì Salamandra il disastro climatico è qualcosa che se ne sta sullo sfondo, in arrivo, da qualche luogo. I sintomi sono molteplici: un inverno afoso, una pandemia in un Paese lontano, l’ennesimo allagamento di una città. Un animale estinto, come il colibrì, come la salamandra. Qualcosa per cui inquietarsi ma non troppo. Anche un’occasione di guadagno. È il solito problema di sguardo che pone la crisi climatica, quell’iperoggetto tante volte raccontato da Timothy Morton. In tutto questo, Umwelt e Mensch sono alieni l’uno per l’altro, lo è la natura, lo è l’uomo quando si accorge della natura. Colibrì Salamandra racconta lo scollamento tra natura e umanità, ciascuna nella propria riserva. Lo si evince molto bene in un punto del romanzo, quando Jane è di ritorno da un convegno e si accorge della tana di un castoro, è la prima volta che la vede, nonostante sia passata da quella tana e da quello stagno migliaia di altre volte: «Non li avevo mai notati prima, lo stagno, la tana. Non li avevo notati sul serio. Li avevo scambiati per rami secchi […] ci ho visto una casa. La casa di qualcuno. Non dovevano essere altrove, nei parchi, nella natura? Quelli erano i patti. Non qui. Non con noi. Fra noi».
La scrittura di Jeff VanderMeer in Colibrì Salamandra
La traduzione di Vincenzo Latronico ci restituisce un testo dalla prosa vertiginosa. L’enfasi aggettivale, la costruzione metaforica in certi punti ardita, quel fraseggio senza pause, tanto sostenuto è il ritmo, sono aspetti che vanno in questa direzione, che hanno questo fine: l’urgenza di raccontare prima che sia davvero finito tutto; un affanno reso ancora più efficace da un uso abbondante della ripetizione.
Del resto, la grana del romanzo non poteva che essere questa per raccontare un futuro (o un presente prossimo?) in cui l’uomo non si accorgerà dell’avvento della fine; la vivrà, invece, con la solita capacità di adattamento – meccanismo di sopravvivenza, prima, e trappola, ora – in questo che è a tutti gli effetti il nostro estremo contemporaneo.
A cura di Valeria Zangaro