Vite mie di Yari Selvetella: le simmetrie della vita tra passato e presente. Recensione
Vite mie, l’ultimo romanzo di Yari Selvetella (Mondadori, 2022), si apre con una dichiarazione decisa da parte del protagonista: «Io non so più amare». A partire da questa presa di coscienza, il narratore tratteggia un universo esistenziale fatto di simmetrie tra il passato dei morti e il presente dei vivi, e di uno sforzo continuo per mantenere uniti i punti che lo tengono in asse con la realtà.
Vite mie di Yari Selvetella: la trama del libro
Claudio Prizio è un quarantacinquenne romano che vive nel rione Monti insieme alla compagna Agata, alla loro figlia Micol, e ai figli di G., la ex compagna di Claudio morta di tumore: una famiglia allargata che prova a funzionare al di là dei legami di sangue. Il protagonista vive di sensazioni che lo astraggono costantemente dalla realtà, di pensieri in cui riaffiorano scene del passato e vecchi discorsi con persone che non ci sono più, e da cui cerca di fuggire aggrappandosi ai dettagli e alla routine della vita quotidiana. Incontra di continuo persone identiche a sé (un uomo al volante di una Xsara blu, un vecchio rocker, un agente immobiliare e la proprietaria di una villa fuori Roma), e mischia il presente con il passato in uno stato d’animo che lo porta a confondere i vivi con i morti. A questa confusione cerca di rimediare attraverso un espediente: disperdere alcuni oggetti – un ago, un’agenda, un vecchio cellulare Nokia, la cartella clinica di G. ai tempi della malattia e un vecchio abito da sera – negli angoli di Roma in cui nessuno passa mai, perché rimangano lì per secoli come segni concreti della sua esistenza.
Simmetrie tra passato e presente
Claudio è a un punto dell’esistenza in cui il mondo interiore ha ormai preso il sopravvento. Si sforza, perciò, di essere meticoloso e di progettare ogni particolare: «Non so vivere se non caricando le mie giornate di trabocchetti, di scadenze e aspettative, dalla famiglia al lavoro; perfino i passatempi li vivo così». Nonostante gli sforzi, in ogni aspetto Claudio percepisce una sequenza di simmetrie, tra il presente e il passato, tra le persone uguali a lui che incontra in giro per Roma, mentre il pensiero costante per G., scomparsa anni prima, occupa le sue giornate. Ma le simmetrie che Claudio intravede non sono dettate soltanto dall’amore per la compagna perduta, è la vita che gliele mostra; ad esempio quando siede a cena con la famiglia, al tavolo della cucina-salotto che è sempre lo stesso, e ha visto così tante cene che il narratore le confonde tra loro: «Ci siamo noi, le nostre cene con gli amici, le zie, i parenti, le baby-sitter. Ci sono i morti e i vivi, quelli che sono rimasti a Roma, quelli che sono partiti, tutti qui, ci sono poeti operai e cantautori, editor, giornalisti e scrittori, genitori, fratelli, amori. Ci sono le liti furibonde, qui, i vestiti che volano dalle finestre, le valigie pronte all’addio, ci sono i baci, dieci secondi al nuovo anno, meno dieci, nove, otto, ma quale anno, ci sono io più grasso e più magro, con la barba corvina ingrigita, senza barba, un uomo con i baffi, non so con quale pupo in braccio».
La scrittura di Yari Selvetella in Vite mie
Yari Selvetella racconta una storia – che è solo in parte autobiografica – avvalendosi di una prosa carica di dettagli: «Sotto l’agenda del 2012, nella cassa, c’è un diario della fine degli anni Ottanta, è un diario di Snoopy dei tempi del liceo. Ci sono i nomi delle sue amiche del cuore e quelli dei primi innamorati, scritti con l’evidenziatore rosa; c’è il ritratto di Alain Delon ritagliato da un magazine patinato e attaccato con la colla Pritt sul giorno di San Valentino». Le descrizioni minutissime e l’uso ricco dell’aggettivazione trasmettono la necessità del protagonista di concentrarsi sul presente per non soccombere alla propria interiorità. Lo stile è lirico, poetico, ma sempre in grado di tradurre la complessità emotiva di chi si avvia verso la vecchiaia e si interroga sul senso del proprio passaggio sulla Terra.
A cura di Flavio Capperucci