Le lucertole: un racconto di Andrea Martina
Qualcosa è caduto sul mio braccio mentre aprivo il portone.
All’inizio ho pensato all’intonaco che, a piccole dosi, sta abbandonando il soffitto del garage e finisce spesso per colorare il pavimento di bianco. Poi, guardando giù, ho visto una piccola lucertola che si dava alla fuga e spariva nel tombino dell’acquedotto.
Pensavo a quel volo, il mio braccio come cuscino, l’atterraggio.
C’è una mia amica che, a vivere una scena così, avrebbe di sicuro lanciato un urlo bestiale. Si chiama Melissa, non la sento da un po’. Mettile una lucertola in tasca, se vuoi vederla al pronto soccorso.
Quando ero più piccolo nel cortile della scuola media c’era spesso l’erba alta; i bidelli dicevano che tagliarla non era compito loro ma dell’impresa di pulizie; l’impresa di pulizie rispondeva che loro si occupavano di pulire l’interno dell’edificio non il cortile; era il comune che doveva chiamare un’altra impresa, ma al comune erano arrivate le guardie a portare via il sindaco e quindi la questione dell’erba era rimasta a vegetare. Nel vero senso della parola. Infatti, dopo le piogge di marzo, nei cespugli ci potevi nascondere un intero zaino. E trovare cavallette, tante cavallette. Un giorno io e i miei soci decidiamo che poteva essere un’idea simpatica prendere una cavalletta, portarla in classe e metterla nel librone del registro, così la professoressa di scienze, dopo l’appello, poteva avere uno spunto originale per una lezione diversa dal solito. Macché. È successo un macello. All’inizio ricerca del colpevole, poi accenno a una nota di classe, poi consapevolezza che solo l’ala maschile poteva essere coinvolta e alla fine, alla minaccia del compito a sorpresa, una compagna di classe sputtana tre di noi.
La mia fedina penale scolastica si macchia quel giorno per la prima volta.
Melissa era assente. Peccato, perché in caso contrario nessuno di noi si sarebbe sognato di portare una cavalletta in classe. Forse sto esagerando. Forse la cavalletta ci entrava lo stesso, però io non avrei partecipato alla cosa al solo pensiero della reazione di Melissa, ecco.
Passo il dorso della mia mano sul braccio come uno spolverino, come se la piccola lucertola avesse portato con sé chissà quale malattia, e metto il naso fuori dalla porta.
Punto verso casa di Melissa, che non la sento da un po’. Lungo la strada mi capita di passare dalla scuola media e mi accorgo che, dopo tanti anni, la questione dell’erba sempre lì sta. Attraversa le generazioni. Che alla fine uno potrebbe anche dire «pavimentiamo tutto», risolvendo il presente ma sottovalutando il futuro: se pavimenti il cortile della scuola media poi va a finire che le cavallette e le lucertole si cercano l’erba da un’altra parte, magari vengono proprio a casa tua. E poi lì è inutile che te la prendi con i bidelli, le imprese di pulizia o con il sindaco.
Quando le lucertole e le cavallette arrivano a casa tua a te tocca.
Accosto la macchina al cancello. È agosto, la scuola è chiusa e l’unico modo per entrarci sarebbe scavalcare. Hanno ritinteggiato tutto, non c’è più quell’ocra bello sbiadito alle pareti; il nuovo dirigente scolastico ha optato per una combinazione di bianco e grigio galera. Che poi è grigio o verde? Vai a capirci qualcosa con i colori, mi è pure capitata la disgrazia di essere daltonico. Una volta uno mi ha detto «prendimi quella maglietta bordò», e io ho risposto «quale? quella marrone?», «no quella lì è bordò», «io la vedo marrone». Alla fine la maglietta è andata a prendersela da solo.
Pure Melissa è daltonica, adesso che ci penso. Chissà come vede lei questo grigio.
Io, per esempio, ho questo metodo con i colori: rifiutare le sfumature delle persone normali e rifugiarmi nella letteratura. Da qui nascono il grigio galera, il verde vomito, il bianco ambulanza, il rosso cabina telefonica, eccetera. L’unico modo per capirci qualcosa con i colori, a scuola, era comprare quei pastelli che avevano il nome del rispettivo colore inciso addosso. Mi chiedevo spesso «a che serve il magenta?». Ad oggi, con un piede appoggiato sul muretto della mia scuola che fu, non ho una risposta a questa domanda sul magenta.
Mi piace quando le persone parlano del loro periodo alla scuola media, ma non per le loro storie, delle loro storie non me ne frega niente. Però mi fa pensare alle mie, di storie. E me le ricordo tutte.
Ci sono giorni, come questi, che basta una lucertola per andare laggiù.
Non ricordo neanche perché stavo uscendo di casa, è stata la lucertola a dirmi che è da un po’ che non sento Melissa. Quasi quasi vado a trovarla.
Andrea Martina