Il racconto della domenica: Il gusto di una minoranza per le penne lisce di Mara Abbafati
La penna nasce liscia, la rigano per sottostare alla lobby delle mense, tiene meglio il sugo.
Sandrone Dazieri, La cura del gorilla
Cammino al parco dalle due alle tre, a volte fino alle tre e venti. Se è una giornata no cammino senza guardare l’ora. Cammino per staccare, perché fa bene, perché ormai non ne posso più fare a meno. Cammino e sento la puzza di merda di cane nell’aria calda, si diffonde dall’erba appena tagliata e penso a quelli col trattore che la mattina hanno falciato il prato, li immagino quando hanno sentito la zaffata salirgli nelle narici nell’istante in cui le lame hanno smosso la merda.
Cammino sul selciato grigio punteggiato di stronzi, stronzoni e stronzetti prodotti da cani, cagnoni e cagnetti. A volte sono freschi e la puzza tiepida sale lenta appestando l’aria, molecola dopo molecola; a volte sono secchi e si sente un odore simile a paglia e merda mescolate, un odore polveroso. A volte sono spiaccicati e seguiti da lunghe strisciate fatte dalle scarpe di chi li ha pestati e poi ha continuato a camminare grattando la suola sui mattoncini ruvidi e finendo per pulirsi sull’erba umida ai lati del vialetto che resta tutta schiacciata e macchiata di merda.
Cammino e sento un profumo di fettine panate; si diffonde dalle finestre delle palazzine grigie che costeggiano a ferro di cavallo il lato sud-est del parco. Penso che qualcuno oggi abbia mangiato tardi, alle due e mezza, perché è tornato da scuola, dal turno in fabbrica, o si è alzato all’una perché la notte non dorme, oppure perché gli piace mangiare tardi, semplicemente. Chissà se ha cucinato le fettine panate sottili alla romana, fritte nell’olio extravergine di oliva oppure ha fatto le cotolette alte alla milanese, fritte nel burro chiarificato. Ognuno le preferisce in modo diverso.
Cammino e sento gli odori più disparati, alcuni sono buoni, ma altri fanno proprio schifo, come quello di una pianta che non sono mai riuscita a individuare, ma che sentivo anche quando vivevo a Rifredi e risalivo via Pisacane partendo da via Carlo Bini verso il supermercato in piazza Leopoldo per andare a fare la spesa. Tra aprile e maggio, in quel tratto di strada, c’era sempre questo odore nauseante e il marciapiede era pieno di pelucchi gialli che cadevano dagli alberi. Era un odore che mi stringeva la gola. Tappavo il naso e percorrevo quel pezzo di strada in apnea, quando arrivavo alla fermata dell’autobus sapevo che gli alberi erano finiti e potevo respirare, allora liberavo le narici, ma continuavo a sentire quell’odore ancora per qualche secondo, si era bloccato nella memoria olfattiva a breve termine. Non lo so se esiste ma io la chiamo così e per fortuna dura poco, basta sentire un altro odore e quello precedente svanisce.
Cammino per dimagrire, per dimenticare, per migliorare la circolazione, per abbassare il livello di colesterolo nel sangue. Cammino perché ho sentito dire che stimola il pensiero, mette in moto la creatività. Cammino per fuggire. Ma la merda di cane mi riporta alla realtà.
Chissà se in quella scatoletta di Merda d’artista non c’era niente oppure c’era della sabbia per dare l’illusione del peso, o forse del gesso – come ho sentito dire – o magari c’era la merda di un cane. Quando cammini il cervello ti propone tutte queste cose insensate, appena qualcosa di brutto si affaccia la mente lo sposta di lato e si mette a pensare cose come «chissà se la signora del terzo piano da cui proviene il profumo del sugo sta facendo le penne rigate o le penne lisce». A me piacciono le penne lisce e la gente mi insulta perché faccio parte di una minoranza, infatti pare che al 97,5 % delle persone piacciano quelle rigate ché il sugo si attacca meglio e restano molto più al dente. Poi c’è anche un 1,29 % che «non sa non risponde». Comunque è solo una questione di gusti. Ma la maggioranza non lo sa che quando le fai al salmone e le lasci bollire nel pentolino piccolo, che di solito usi per il latte, e poi tagli il salmone affumicato direttamente sul pezzo di plastica della confezione per non sporcare altri utensili e poi scoli l’acqua, mi raccomando non tutta, e poi butti i pezzetti rosa affumicati e un cucchiaio di Philadelphia nel pentolino e poi giri per pochi secondi e continui ancora per un minuto a fuoco spento, le penne lisce sono migliori perché la cremina che si forma avvolge alla perfezione quella superficie totalmente priva di rigatura.
Ho spostato di lato tanti pensieri, tra una merda di cane e l’altra, facendo largo a testi di canzoni, battute di film, titoli di libri ancora da leggere, teorie sulla cottura al microonde, congetture sulla morte di Elvis, ipotesi per eliminare la plastica dalla faccia della terra. Ho fatto un sacco di spazio, al centro si è creato un buco, sui lati tutte le cose peggiori se ne stanno ammucchiate, restano incollate perché le pareti sono lisce come le penne, e soltanto finché cammino sono in grado di generare una forza centrifuga che le tiene lì.
Mara Abbafati