Il profilo dell’altra di Irene Graziosi: l’identità è un gioco di ruolo. Recensione

 Il profilo dell’altra di Irene Graziosi: l’identità è un gioco di ruolo. Recensione

Sulla copertina di Il profilo dell’altra – l’esordio targato Edizioni e/o di Irene Graziosi – campeggia un quadrato grigio in rilievo, di un materiale vagamente specchiante: il lettore guarda il libro e si vede restituita la propria immagine distorta, con i contorni sbavati e il viso frantumato. Quel riflesso è suo e, al tempo stesso, non lo è davvero: sembrerebbe una metafora riuscitissima di come funziona la letteratura, ma, in questo caso, non è che il segno visivo di un gioco di specchi inestricabile a cui ci sottoponiamo ogni giorno.

Nella vita come sui social, l’identità ha infatti assunto sempre più il senso di una performance: esistere è raccontarsi, e raccontarsi è tradirsi. Il profilo a cui diamo vita ogni giorno ci appartiene, ma per necessità è anche quello di qualcun altro; e così quella domanda ricorrente che iniziamo a porci intorno all’adolescenza – ma tu chi sei davvero? – diventa un interrogativo che non può essere trascurato e a cui, tuttavia, è difficile dare risposta. Il primo romanzo di Irene Graziosi parla proprio di questo.

 

Il profilo dell’altra di Irene Graziosi: la trama del libro

La voce narrante di questa storia si chiama Maia, non ha ancora raggiunto la soglia dei trent’anni e passa le proprie giornate in uno stato di inerzia da cui non riesce a svincolarsi. Ha un fidanzato, ma spera che la tradisca; un lavoro becero in un bar frequentato da uomini di mezz’età che le chiedono foto in cui è nuda e un ricordo che la ossessiona di notte, quando, esausta, prende qualche pillola di Xanax. Si tratta di sua sorella, Eva, sparita mentre lei si trovava a Parigi. Quando racconta, Maia usa proprio questo verbo, sparire, che può significare la morte e la dissoluzione, lo smarrimento in uno spazio bianco che non ha più confini o l’evanescenza di un’entità che un giorno, improvvisamente, da fantasma si è trasformata in vuoto. L’assenza di Eva è presenza invasiva nelle pagine del romanzo: primum di una ricerca che è forse anche un tentativo di redenzione impossibile.

 

Il mondo digitale: «Niente di vero»

Quando un’amica le propone di lavorare per una delle influencer più famose del momento – tale Gloria Linares – Maia non ha alcuna fiducia nella possibilità di essere assunta. Il colloquio va male: tutte le donne presenti guardano con sufficienza il blazer che indossa, accennando a quanto sia sbagliato alimentare l’industria del fast fashion, mentre lei tenta con difficoltà di portare avanti la messinscena che aveva immaginato falsificando il suo curriculum. Quando lascia l’edificio sa già che non riceverà nessuna telefonata. Eppure, Gloria la chiama poco dopo.

 

«Sei l’unica che mi dice la verità» le confesserà, un giorno, in un momento di confidenze. È quello il motivo per cui l’ha scelta, e Maia sa che Gloria non sbaglia: niente nel mondo che abita è autentico. Non lo è la sua identità, manipolata a seconda del brand che bisogna pubblicizzare in una versione free, positive, eco-friendly, e un sacco di altre parole inglesi che potrebbero trovare spazio negli hashtag sotto le sue foto. Né lo sono le parole che pronuncia, basate su un copione che qualcun altro – a un certo punto, anche Maia – scrive per lei, contribuendo a costruire, pezzo dopo pezzo, la personalità di una diciottenne sensibile, responsabile e sempre sorridente.

Gloria non conosce niente di vero: non prova emozioni negative, non nutre rancore, non si scontra con gli spigoli, non sa cosa sia l’amicizia. Vive in un mondo patinato che appiattisce ogni cosa, soffocandola con i glitter e le feste, gli slogan e le ideologie di consumo, senza averne consapevolezza: la storia che le raccontano coincide con quella che lei stessa si ripete intimamente. Per questa ragione, l’incontro con Maia assumerà il senso di un risveglio della coscienza: un rito di iniziazione alla realtà che può diventare estremamente pericoloso.

 

L’identità come performance, il desiderio come mediazione

Il rapporto tra Maia e Gloria è costruito a partire da triangolazioni, come tutti quelli che prendono vita lungo il corso della storia. Le due desiderano, sulla base di mediazioni altrui, un oggetto che cambia continuamente, ma che spesso coincide con un’idea di femminilità o con una versione scintillante del sé. Non esistono interazioni dirette in Il profilo dell’altra, esattamente come avviene nel mondo digitale: ogni cosa è filtrata da uno schermo che deforma la realtà secondo una precisa intenzione performativa. Eppure l’influenza dell’altro è continua: i confini tra le identità si assottigliano e si confondono, arrivando a combaciare; i rapporti, morbosi, diventano spesso giochi di manipolazione o lotte per la conquista di una diversità irraggiungibile. Nella storia di Maia e Gloria, il disgusto e l’approvazione sono facce della stessa medaglia, e l’amore nasconde sempre una certa dose di sopraffazione.

 

Body positivity, revenge porn e call out

Il profilo dell’altra è un romanzo che tenta di raccontare una generazione alla ricerca della propria identità attraverso una prospettiva estremamente contemporanea, capace di intercettare moltissime dinamiche attive nel tempo che viviamo e intersecarle tra di loro, senza produrre l’effetto di un accumulo insensato. Tra le pagine di questo libro si affronta la questione del consenso, per esempio, insieme a quella della manipolazione; i temi della bellezza e della desiderabilità, calati in un tempo che inneggia alla body positivity pur essendo intimamente regolato da algoritmi che propongono modelli fin troppo stringenti; il vuoto di senso che si nasconde dietro certi impegni sociali presi solo per uniformarsi a un’idea di esemplarità che incontra l’approvazione del pubblico e, ancora, il revenge porn, i call out, le shitstorm. Irene Graziosi si destreggia fra le contraddizioni del presente con consapevolezza: non appiattisce, non generalizza. E non cade – cosa più importante – nel tranello di offrire morali ai suoi lettori. Al contrario, riesce in una delle cose più difficili per uno scrittore, ovvero spingere chi legge a immedesimarsi in un personaggio odioso, pieno di difetti, crudele e insignificante, che tuttavia si fa portavoce di una parte del sé che tutti nascondiamo e nessuno ammetterebbe di possedere.

 

La scrittura di Irene Graziosi in Il profilo dell’altra

Lo stile di scrittura con cui viene raccontata la storia è graffiante e preciso. Lo sguardo della protagonista scompone l’universo narrativo in cui è immersa, alternando il cinismo e il distacco a una forma sghemba di partecipazione emotiva, che emerge tra le righe come un’allucinazione psicotica. La scrittura diventa così un esercizio di inabissamento in un sostrato esistenziale di negazioni e rimossi: il presente e il passato si sovrappongono e si scambiano di posto, in un gioco di associazioni mentali che rivela un nucleo a cui è impossibile accedere direttamente.

Probabilmente Il profilo dell’altra non è un romanzo perfetto: raramente si dice il contrario di un esordio. Ma è una prova letteraria intelligente, che lascia intuire un talento solido nell’analisi di spazi, persone e tempi. E se c’è una cosa di cui abbiamo bisogno, oggi, è di romanzi che ci raccontino il presente senza il timore di inciampare: proprio come quello di Irene Graziosi.

A cura di Rebecca Molea

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Rebecca Molea

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