Il racconto della domenica: Mi stavo annoiando di Giuseppe Midolo
Non so perché l’ho fatto, non c’è sempre un perché alle cose.
Mio padre mi picchiava con la cinghia tutte le sante mattine senza un motivo.
Non voglio mica intenerirvi con la faccenda delle cinghiate. Per carità, uno che commette uno sbaglio deve pagarlo. Con questo non voglio certo fare del sarcasmo dicendo che mio padre è crepato a novant’anni in un caldo e comodo letto e nessuno l’ha mai punito per avermi conciato per le feste. Il buon Dio lo ha perdonato si vede!
No, non lo dico per commiserarmi, non credo e non voglio assoluzione di nessun genere, men che meno spirituale, sono un tipo pragmatico. Non sono qui proprio per pratiche concrete?
Mi stavo annoiando. Sì, è questa la verità. No che non c’entra il divorzio da mia moglie e il fatto che non mi fa vedere i bambini. Sapete?, un padre che viene scaricato possiede un mucchio di tempo che prima non aveva né modo né voglia di consumare: accompagna il grande in palestra. Compra il pane dal tipo gentile e non da quell’altro. Prendi il trapano. Buca i muri. Metti il quadro. Un po’ più a sinistra. Ancora un po’.
Le congetture coniugali o i miei piaceri sessuali, fino a oggi, non contano niente, non m’è mai passato per la mente di tradire mia moglie o non ne ho mai avuto l’occasione, magari. Non ho desideri omosessuali e non sono mai stato molesto o aggressivo, se è quello che volete sapere.
Mi stavo annoiando, tutto qui!
Certamente non l’avrei fatto se fossi ancora sposato con mia moglie. Ma non per etica o morale, dannazione, no! Non ne avrei avuto nessuna possibilità, mi spiego?
Sarei stato incagliato in svariate commissioni giornaliere o a ridipingere una qualche superficie di casa, tutto pur di non sentirla bofonchiare con la forchetta in bocca.
Non fate quelle facce, non sto accusando mia moglie! Non è mica colpa sua.
Ballonzolavano, ecco. Vi va bene come risposta? Le ho viste ballonzolare e volevo metterle a posto. Ne sono rimasto incantato come un bambino davanti alla vetrina del pasticciere. Siete proprio un bel tipo voi! Conosco quella faccia, è la faccia di un pregiudizio. Lei è tale e quale a me, se non peggio!
Non si scaldi tanto, non voglio offendere né far innervosire nessuno. Ma li conosco quelli così: siete prepotenti e saltate alle conclusioni. Additate le persone, ragione o torto che abbiano. Non ve ne frega niente, fate il vostro lavoro, solo che poi il lavoro ve lo portate a casa o in macchina e alla fine non sapete più dove inizia la divisa o la pelle.
Mia madre mi ha educato per bene, non siate sciocco! Se vedete, anche i miei di bambini, non è certo tutto merito della madre. Ci ho messo del mio anche io. Li ho sempre aiutati, soprattutto in matematica. Ero una scheggia in matematica e adesso lo sono un po’ anche loro. Più il piccolo però, c’è portato, ha gli occhi furbi.
Mia madre non mi aiutava a fare i compiti, perché lei non è andata più in là della seconda elementare, e se solo provavo a piagnucolare o a fare i capricci, mio padre si sganciava la cinta… la storia la sapete già.
Che donna mia madre!, se ne stava in cucina a fare il suo e guai a fiatare, se la pasta era scotta o insipida, papà mandava tutto per aria e si filava a letto senza cena e se osavamo avere dolori di pancia c’era il resto.
Lei rimetteva a posto senza un alito, raccoglieva i cocci da terra e lui le pestava le mani sopra. Lavava, spazzava e si metteva a letto con lui. Se voleva fare qualcosa di sconcio lei non poteva negarsi. Era una schiava.
Ah, ci risiamo! Ancora quella faccia.
No, non si tratta nemmeno di mia madre, non volevo riscattare il ruolo di nessuno facendo quello che ho fatto, e non provate a intendere che sono come mio padre… no, non minaccio nessuno. Scusatemi, avete ragione!
Ho divagato. Sono un chiacchierone nato, per questo non ho amici. Dicono tutti che parlo sempre e troppo e non lascio mai a nessuno la possibilità di dire la loro. Non è mica vero, ma se non hanno niente di interessante da dire non sarà certo colpa del sottoscritto!
Non mi sento superiore alla media e non ho manie di protagonismo, se lo state insinuando. Crediamo tutti di essere più furbi e più ingegnosi di altri. Voi non vi sentite potente e più retto di me in questo momento? Pensateci bene, chi è quello ammanettato dei due? Beh, a livello pratico i ferri ai polsi li ho io, certo…
Volevo essere come Michael Douglas in quel film. Un giorno si alza e decide di non sottomettersi a nessuna legge prestabilita. Attraversa la città con le migliori intenzioni e le cattiverie degli altri gli si appiccicano addosso e alla fine si fa ammazzare per liberare tutti dal male. Sapete che Michael Douglas non è il suo vero nome? C’è una bella storiella sotto. Andatevela a cercare.
Non ho mai voluto cagare in una moschea, né prendere contromano una strada. Non è follia, infatti il titolo del film è un errore, a mio avviso!
Se ne dicono tante e voi siete i primi che le dite: aveva abiti succinti. Non mostrava l’età che realmente aveva. Tutte le sue compagnie erano maschili. Andava a ballare ogni fine settimana come una sgualdrina.
No. Non è niente vero. Non c’entra l’abbigliamento o l’atteggiamento. Queste sono le dicerie dei malvagi. Illazioni e menzogne.
L’ho vista uscire dal portone con l’ombrello e la busta della spazzatura e volevo essere galante. Le ho tenuto l’ombrello finché non ha raggiunto la pattumiera, l’ho salutata e sono andato via. Ma ho continuato a pensarla. Volevo scoprire che lavoro facesse, se aveva figli come li avevo io, se era sposata o avesse un gatto. Avevo un sacco di tempo a disposizione e me lo sono domandato, ecco tutto!
Sono tornato lì la sera e ci sono rimasto fino all’arrivo del camion della nettezza urbana. È stato allora che ho preso il sacchetto della spazzatura. Il tipo del camion mi ha dato del barbone e ho protestato dicendogli che puzzava più di me. Era vero!
Mi sono nascosto dietro una panchina e ho rovistato nel sacco. C’erano bottiglie di plastica schiacciate, torsoli di mela, cicche e scatolette per gatti.
Avevo scommesso con me stesso e avevo avuto ragione, un gatto c’era.
E per vivere, che faceva? Ho pensato: architetto o farmacista.
È entrata in un palazzone con la portineria. C’era una targa fuori, era dorata e di un notaio. Non aveva la valigetta, però. Era la segretaria, dunque?
Alle due è uscita, ha mangiato un sandwich al bar all’angolo, bevuto un caffè americano e una fetta di torta, ma dalla vetrata non sono riuscito a capirne il gusto. Mi sembrava all’arancia e volevo sapere se avevo azzeccato. L’ho fermata e gliel’ho chiesto. All’arancia ha detto ed è tornata su ridendo un po’. Non mi aveva riconosciuto. Nei tre giorni che ne sono seguiti è sempre uscita da sola, quindi non era sposata o comunque non aveva avuto bambini. Poi mi sono fatto coraggio e le sono andato incontro spiegandole che ero il tizio dell’ombrello e della torta. S’è tutta irrigidita dicendomi che aveva da fare. Le volevo offrire un caffè, ho aggiunto, un caffè americano. S’è irrigidita di nuovo.
Quanti anni aveva? Era felice di fare la segretaria? A quanto ammonta lo stipendio di una segretaria in un ufficio notarile? Volevo solo qualcuno con cui parlare, fare quattro chiacchiere davanti a una birretta.
Ha preso a correre e io le sono corso dietro. Come avrebbe risposto alle mie domande così da lontano?
Più correva e più le andavo dietro. Poi ho urlato: «È tanto impensabile essere gentili con qualcuno?».
S’è girata di scatto, io stavo ancora correndo e sono inciampato e le sono caduto addosso e le ciocche dei capelli le ballonzolavano e lei urlava di lasciarla stare, che ero un mostro, un maniaco. Io volevo solo rimetterle le ciocche a posto, erano così belle e fluenti e lei urlava che c’era un pazzo che la stava violentando.
Non lo so perché l’ho fatto. Mi annoiavo e volevo conoscere qualcuno, un’amica e divertirmi e mangiare una pizza, magari, e lei sembrava carina e aveva un gatto. Capite?
Giuseppe Midolo