L’uomo che aveva visto tutto di Deborah Levy: un racconto onirico tra verità e memoria. Recensione

 L’uomo che aveva visto tutto di Deborah Levy: un racconto onirico tra verità e memoria. Recensione

La verità
La verità si può cambiare

La verità
La verità si può travestire

La profondità degli abissi – M. Agnelli

 

L’uomo che aveva visto tutto (NN Editore, 2022) è un racconto onirico ed enigmatico della scrittrice inglese Deborah Levy, in cui la verità raccontata inizialmente impatta e si frantuma in tante schegge da cui origina e si riflette un racconto differente, più complesso e straniante, che confonde e distorce la linea del tempo e quella del ricordo.

 

L’uomo che aveva visto tutto di Deborah Levy: la trama del libro

È il 1988, l’anno che precede la caduta del muro di Berlino, e il giovane storico Saul Adler si trasferisce per un breve periodo da Londra a Berlino Est per una ricerca. Ancora dolorante per una caduta sulle strisce pedonali di Abbey Road, celebre per la copertina dell’omonimo album dei Beatles, dove è stato urtato in modo alquanto enigmatico da un’auto, viene lasciato dalla sua fidanzata, un’affascinante e talentuosa fotografa, apparentemente senza motivo. A Berlino Est incontra un vecchio amico e la sua famiglia, e si ritrova immerso nel clima tipico della DDR, tra il desiderio di una fuga verso lo stile e la cultura occidentali e il doversi nascondere da un capillare regime di spie, controlli e repressione. Quando anni dopo si risveglia, molto più traumatizzato, dallo stesso incidente sulle strisce di Abbey Road, i ricordi, le immagini e le dinamiche dei personaggi appaiono decisamente più frammentate, annebbiate e disorientanti. Come il muro di Berlino, la sua vita sembra essere andata in frantumi, e per ogni passaggio sembra esserci un lato diverso da scoprire, una versione alternativa da assemblare, con riflessi stranianti e imprevedibili, che creano un’atmosfera surreale. Chi è stato davvero Saul Adler? Un uomo, un padre, un amante? Qual è la verità e quale solo il ricordo confuso di tutto ciò che ha visto e vissuto? E in che modo ha intrecciato davvero la sua esistenza con quella delle persone legate a lui negli anni?

 

Un racconto dalle atmosfere oniriche e stranianti, tra verità e ricordo, presente e passato

Il romanzo di Deborah Levy è fondamentalmente suddiviso in due parti: la prima, più semplice e lineare, dove prevale il clima di austerità e clandestinità della DDR, in cui il protagonista, reduce da un trauma fisico ed emotivo, cerca di portare scompiglio e novità in vista dell’imminente crollo del muro. La seconda più frammentata e complessa, costituita dal susseguirsi di immagini, ricordi ed episodi stranianti, doppi ruoli e verità sovrapposte, come in una foto a lunga esposizione. Questa parte del racconto richiama le atmosfere inquiete e oniriche del noto film di David Lynch Mulholland Drive, o la capacità di muoversi trasversalmente nel tempo della protagonista della serie Undone. Deborah Levy è una scrittrice e poetessa britannica di origini sudafricane, innamorata, come Leonard Cohen, dell’isola greca di Idra, molto apprezzata in patria ma anche in Italia per i suoi romanzi Come l’acqua che spezza la polvere e A nuoto verso casa.

Lo stile è chiaro ed essenziale, anche grazie alla traduzione di Gioia Guerzoni; infine, nel testo i capitoli e gli episodi si compongono quasi come una serie di istantanee che progressivamente si sovrappongono, mescolano e confondono.

a cura di Natale Vazzana

Blam

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