Il racconto del mercoledì: Buco nero di Pietro Nunziata
Il proiettile schizza fuori dal muro, attraversa la tela del quadro, viaggia verso la nuca, entra nel foro d’uscita che è un buco nero: lo risucchia attraverso i capelli neri, la teca cranica, il cervello, il palato molle. Il tunnel spazio-temporale tra la morte e la vita. Esce dalla bocca, viaggia nell’aria e finisce nella canna della Smith & Wesson calibro 40. La fiamma viene risucchiata. Il sangue. La materia cerebrale. Quei fantastici schizzi rossi e bianchi, sparsi sul muro, sul quadro raffigurante Napoleone Bonaparte, e un po’ ovunque dietro la chioma nera, ritornano da dove sono usciti. Ritornano nel buco nero.
Boom!
«Puttana!» urla.
«Ti prego, fallo per lui, fallo per tuo figlio!»
«Ora ti ammazzo, ti ammazzo!»
«Lo giuro, giuro su Dio che è tuo figlio. Ero già incinta quando sono stata con lui.»
La presa si allenta. La pistola smette di tremare. Torna nella tasca della giacca.
Le lacrime risalgono, come scalatori, il viso. Il muco ritorna nel naso. Il sorriso isterico si appiattisce. Le foto sono lì, sulla scrivania. Lei che ride. Lei che scherza. Lei che mangia un panino. Con l’altro. Il terrore, la paura, tornano da dove sono venuti. Le mani ruvide, piene di calli, afferrano le fotografie e le rimettono nella busta gialla. La busta ritorna nella tasca, la stessa della pistola.
«Sei una maledetta puttana» il mento impatta contro le nocche di lui, chiuse a pugno.
«Perdonami, ti prego, perdonami!» si alza, lo afferra, lo abbraccia.
«Come hai potuto farmi questo? E per chi poi, per un povero fesso, per un signor nessuno!»
«Lasciami spiegare, tu non capisci, non è come sembra!»
«Sei una puttana. Sei una merda. Io ti ammazzo. Ti ammazzo!» le preme l’indice contro la fronte.
Si picchiano. Lui picchia lei, lei fa quel che può, finiscono per terra. Si rialzano. Si fermano.
Lui la fissa. Non parla.
Lei capisce. Li ha scoperti. È tardi.
Paolo si siede. C’è qualcosa di strano nei suoi occhi. Rabbia. Tristezza. Sconfitta.
Negli occhi di Rosa ora c’è paura. Terrore.
Lui chiude la porta della cucina. Le chiavi dell’auto tornano nelle sue mani. Prende il giornale dal tavolo. La busta della spesa sulla poltrona blu. La chiama di nuovo: Rosa!
«Rosa? Dove sei?»
Giusy, barboncina color crema, fa due giri intorno al tavolo, ritorna sul tappeto e inizia a scodinzolare. Paolo chiude il portoncino.
«Sono io, sono tornato.»
La chiave esce dalla serratura e ritorna nella tasca.
Sale in auto. Lo sportello si chiude. Fa retromarcia e parte.
Il sole splende alto nel cielo, che da arancione diviene azzurro.
È una bella giornata.
Va tutto bene.
Pietro Nunziata