Radici Bionde di Bernardine Evaristo: razzismo e schiavitù visti in una prospettiva inedita. Recensione

 Radici Bionde di Bernardine Evaristo: razzismo e schiavitù visti in una prospettiva inedita. Recensione

Pubblicato a Novembre 2021 dalla casa editrice SUR, Radici Bionde, uscito originariamente nel 2008, è l’esordio alla narrativa della scrittrice britannica di origini nigeriane Bernardine Evaristo. Resa celebre dalla raccolta di racconti Ragazza donna altro (edita nel 2019 dalla stessa casa editrice), Evaristo in questo romanzo crea una storia potente, drammatica ma non priva di ironia che ribalta la Storia con la S maiuscola. 

Radici Bionde: la trama del romanzo di Bernardine Evaristo 

Nel mondo costruito dalla scrittrice ad essere vittime della tratta degli schiavi sono i bianchi (bianki), mentre i neri (nehri) hanno fondato l’impero coloniale di Grande Ambossa a partire dal Regno Unito. La protagonista è Doris, donna di origini inglesi strappata alla sua famiglia e alla sua patria in giovane età, ridotta in schiavitù dai nehri. Dopo un’adolescenza e una prima età adulta vissuta all’insegna di una rassegnazione quasi completa, Doris deciderà di riconquistare finalmente la libertà tanto desiderata. 

“Dentro di me sapevo che i mercanti di schiavi non avrebbero mai smesso di sfruttare la loro gallina dalle uova d’oro. Era, dopotutto, uno dei commerci internazionali più redditizi di tutti i tempi, basato sul trasporto in larga scala di noi bianki, spediti a milioni dal continente dell’ Europia alle isole del Giappone Occidentale, così chiamate perché il – grande – esploratore e avventuriero Chinua Chikwuemeka, alla ricerca di una nuova rotta per l’Asia, aveva scambiato quelle isole per il leggendario arcipelago del Giappone, e il nome era rimasto”. 

Il romanzo dunque ripercorre la storia di Doris alternando la contemporaneità della protagonista – e il suo personale viaggio verso la libertà attraverso mezzi che risuonano di storia come la ferrovia sotterranea – il suo passato e il punto di vista di altri personaggi. 

Fine politico e creazione narrativa

Per capire Radici Bionde è necessario prima di tutto comprenderne le premesse, e questo si può fare solo tenendo presente la citazione di Nietzsche che apre il romanzo: “Ogni cosa è soggetta a interpretazione: quale interpretazione prevalga in un determinato  momento dipende dal potere e non dalla verità”. 

La storia creata da Evaristo ha una vocazione profondamente politica: l’intento della scrittrice è infatti quello di far comprendere, con un’ironia che a tratti diventa quasi grottesca, come sia la vita di una popolazione vittima di razzismo e costretta in schiavitù. Questo obiettivo però non è perseguito in maniera “tradizionale”, attraverso quindi una storia che viene raccontata dal punto di vista della popolazione oppressa; si pensi a 12 Anni Schiavo di Solomon Northup, Legami di sangue di Octavia Butler, I ragazzi della Nickel di Colson Whitehead. Radici Bionde viaggia a cavallo di diversi generi letterari – fantasy, distopia, dramma, satira – e offre a chi legge una storia all’interno della quale il fine politico è inscindibile dalla creazione narrativa.   

Il worldbuilding oltre costruzione dei personaggi

In Radici Bionde la scrittura di un mondo altro, attraverso il forte uso della satira, prevalgono sulla costruzione dei personaggi, nei confronti dei quali si fa fatica a sentirsi pienamente coinvolti; ma forse è anche questo l’obiettivo di Evaristo. Non tanto coinvolgere dunque, ma portare chi legge a una riflessione sulla storia e sulla cultura che in altri romanzi riguardanti lo stesso tema rischia di risultare meno impattante rispetto al coinvolgimento emotivo che si prova nei confronti dei personaggi. 

“Si esibivano ambossiani in whyteface, col viso imbiancato di gesso, le labbra ridotte a una sottile fessura rossa. cantavano steccando con voci stridule, e mantenendo un’ espressione  imperturbabile danzavano con movimenti idioti, a scatti, nel tentativo di riprodurre i balzi e in saltelli delle danze tradizionali celtiche. Portavano zoccoli ai piedi, campanelle alle caviglie, sventolavano fazzoletti in aria e strusciavano il sedere uno contro l’altro. e intanto cantavano canzonette da vaudeville in cui si presentavano come buffoni scansafatiche, bugiardi, infidi, vigliacchi, ignoranti e sessualmente repressi”.  

La distopia di Evaristo infine non si limita a ribaltare “in negativo” la storia che tutti noi conosciamo, bensì raccoglie spunti dal passato e dalla contemporaneità per creare una realtà nella quale ogni cosa è riconoscibile e allo stesso tempo fuori posto: l’effetto straniante e satirico viene di fatto così ulteriormente posto in evidenza e costituisce il punto di forza del romanzo. Il risultato finale è dunque una storia nella quale Evaristo riflette sul potere, su coloro che ce l’hanno e su chi invece è condannato a soccombere e continuamente resistere o almeno, come nel caso di Doris, ci prova.

a cura di Alessia Cito

Alessia Cito

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