Il racconto della domenica: Perché non si sa mai di Manuela Nigro

 Il racconto della domenica: Perché non si sa mai di Manuela Nigro

Illustrazione di Sharon De Pasquale

Mamma mi ha comprato un vestito nuovo, l’ha preso quando ha saputo che ero stata invitata alla festa. Mi ha anche accompagnata dal parrucchiere a farmi i ricci e le piacevano così tanto che non smetteva di guardarmi facendosi scappare, ogni volta, un sorriso. Avevo paura che non mi avrebbe dato il permesso; non ho mai passato il Capodanno da nessuna parte e la sera di solito resto a casa. Non che mi importi del Capodanno, quest’anno però i miei compagni hanno affittato una sala e hanno organizzato una festa; non pensavo nemmeno che mi avrebbero invitata.

Ho trascorso la giornata in silenzio, non ho sprecato nemmeno una parola, conservandole tutte per la serata. Nel pomeriggio ho fatto un bagno ascoltando la musica, anche se mi fanno male le natiche e le scapole quando mi appoggio alla vasca. Pazienza, l’ho fatto comunque. Hanno detto che passeranno a prendermi alle nove. Mamma voleva accompagnarmi, ma Marta si è offerta di passare da me e andare alla festa insieme. Ho fatto il bagno per metterci un pochino di tempo in più. Aspettando le nove di sera, ho pensato a cosa mangiare per cena: mamma ha insistito perché almeno oggi non saltassi nessun pasto. Per accontentarla, ho messo lo zucchero nel tè, stamattina. Voleva che pranzassi, allora ho mangiato uno yogurt, anche se ieri non sono calata e oggi avrei preferito evitare.

Dopo il bagno ho fatto un pisolino, per essere carina. Quando mi sdraio, mi fanno male le gambe, così ho messo un cuscino tra le ginocchia, almeno non si toccano fra loro. Al mio risveglio erano già le cinque e ho deciso di ascoltare un cd. Mi sono truccata e ho messo il rossetto, mi sono sistemata i capelli che si erano schiacciati un pochino, ma non ho indossato subito il vestito che mamma mi ha comprato, per paura di sciuparlo e perché mi era venuta fame; allora ho indossato una maglietta e un paio di jeans aderenti, i più stretti che ho, così non mi viene voglia di mangiare qualcosa, nemmeno un cracker. Ho già messo lo zucchero nel tè, oggi non me lo posso permettere. Dopo aver indossato i jeans e la maglietta mi sono guardata allo specchio pensando che quel rossetto mi stesse proprio bene. Ho scelto un cd con una voce femminile, così che potesse essere la mia e che avesse qualche chitarra, così da poter suonare la riga che usavo alle medie e che, ormai, non mi serve più per la scuola. E magari consumare le calorie dello yogurt.

Dopo il concerto mamma mi ha detto che aveva preparato del pesce per cena, con un po’ di insalata. Le ho ricordato di non condire niente, ma lei già lo sapeva. Abbiamo mangiato presto, per digerire e per potermi fare una doccia appena prima di indossare il vestito nuovo. Per potermi struccare e truccare di nuovo e per provare qualche paio di scarpe.

Subito dopo cena ho controllato il telefono, nessuno ha scritto nulla sulla chat della festa, mi è sembrato strano. Gli ultimi messaggi sono di tre giorni fa. Avrei voluto scrivere a Marta per avere conferma, ma l’ho già fatto due volte e lei mi ha sempre risposto di sì, di stare tranquilla e che sarebbero passati a prendermi alle nove.

Ho controllato il telefono alle otto, nessuno aveva scritto nulla. Ho controllato l’ultimo accesso di tutti, ma l’hanno nascosto. Mi è sembrato strano, poi ho pensato che probabilmente era così anche prima, solo che non ci avevo mai fatto caso; allora l’ho nascosto anch’io e, facendolo, mi sono ricordata che sì, era così anche prima.

Alle otto e mezza ho iniziato ad affacciarmi al balcone della cucina, per vedere se arrivava qualcuno: un uomo col suo cane, quattro ragazzini del palazzo, rumori di petardi. Dopo poco sono rientrata perché faceva freddo e dovevo indossare il mio vestito. Addosso è ancora più bello, tutto nero. Mamma mi ha detto di mettere degli orecchini e me ne ha prestato un paio dei suoi, quelli con le perle. Anche un anellino sarebbe stato bene, così ho messo quello del mio compleanno.

Alle nove meno cinque mi sono affacciata di nuovo: petardi, un uomo e una donna vestiti eleganti, tutte le luci dei palazzi accese, l’albero del condominio addobbato e luminoso. Ho detto a mamma che sarei scesa ad aspettare e ho indossato le scarpe col tacco che avevo scelto. Nere. Ero indecisa, perché mi piacevano anche quelle rosse, ma alla fine ho scelto quelle nere. Sciarpa e cappotto e sono scesa. Arrivata a metà delle scale sono tornata su, perché avevo dimenticato la borsa. Ho controllato il telefono, nessun messaggio o chiamata, l’ho messo via, ho salutato mamma di nuovo e sono scesa.

Ho scritto a Marta per dirle che l’aspettavo giù. Riceve il messaggio ma non lo legge. Metto via il telefono. Aspetto. Tiro fuori il telefono. Ancora non ha letto il messaggio, strano, gli altri hanno la spunta blu. Aspetto, starà guidando. Controllo. Ancora niente. Fa freddo. Chiamo. Non risponde. Aspetto ancora. Chiamo. Risponde, sì, tranquilla, arrivo, sono solo in ritardo, aspettami a casa, appena arrivo ti faccio uno squillo. Torno su, avverto mamma, cerco di leggere Delitto e castigo; se riesco lo finisco, così avrò qualcosa in più di cui parlare. Ho passato la giornata in silenzio per avere più argomenti possibili, non ho sprecato nemmeno una parola. Ho tenuto un concerto, ma quello non conta. Comunque. Cerco di finire il libro, non riesco, guardo il telefono, le nove e mezza. Nessuno squillo. Mamma guarda la tv, mi siedo con lei, guardo fuori, mi alzo, esco in balcone: una comitiva elegante si divide i posti in auto. Aspetto ancora un pochino, scrivo un altro messaggio, almeno per sapere a che ora pensa di arrivare; mia mamma può accompagnarmi se lei non riesce. Tranquilla, risponde, massimo mezz’ora e sono lì. Chiamo Giada, non risponde. Chiamo Giorgio, sì, tranquilla, Marta passa a prenderti. Va bene, ma mia mamma può accompagnarmi. No, non farti accompagnare, passa Marta, ha dovuto prendere Giulio e arriva.

Sono le dieci, meno tempo da passare alla festa. Potevo finire di leggere il libro, avrei avuto più cose da dire. Chiamo di nuovo Giorgio, non risponde. Controllo la chat, nessuno ci scrive da tre giorni. Nemmeno oggi. Nemmeno stasera. Chiamo Marta, chiamo Giada, non rispondono. Scrivo un messaggio, non arriva. Si vede che non prende. Però il telefono squilla. Mamma mi chiede cosa c’è che non va. Sono in ritardo, rispondo. Mamma sembra seria. Dice che aspetta ancora un po’ poi non mi farà più andare, non si fida. Ma no, dai, sono solo in ritardo.

Mi viene da piangere, sono quasi le undici, non è possibile, meno tempo da passare alla festa. Fra poco sarà mezzanotte e mamma già non vuole più farmi andare. Chiamo Marta. Chiamo Giada. Chiamo Giorgio. Scrivo un messaggio. Chiamo qualcun altro. Scrivo nella chat. Nessuno risponde. Nessuno online. Metto visibile il mio ultimo accesso. Magari ho visto male. Magari quello degli altri non è nascosto. Forse, semplicemente, non prendeva bene. No, non si vede quello di nessuno. Non so quand’è stato l’ultimo accesso di nessuno, è nascosto. Ma sì, era nascosto anche prima. Forse no. Sì, dai, è sempre stato così. No, non è sempre stato così. Sono sicura di no. Chiamo. Chiamo ancora. Arriva la mezzanotte: botti, fuochi d’artificio, urla e risate. Mamma mi dice che basta, se anche arriva qualcuno non si fida e non vuole che vada. Prendo il telefono per avvisare che non posso più perché non mi sono sentita bene. Provo a scrivere un messaggio, lascio perdere. Nessuno mi ha richiamata. Nessuno mi ha risposto. Nessuno mi ha scritto. Lascio stare e metto il telefono sul comodino prima di spogliarmi. Acceso, perché non si sa mai.

Manuela Nigro

Blam

Articoli Correlati

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *