Il racconto del mercoledì: L’attimo prima di esplodere di Mattia Grigolo
Mia madre mi ha detto che sono solo una bambina. Così ha detto: solo una bambina. Ma le bambine non si siedono in una sala d’attesa come questa per farsi aiutare ad abortire. Qui non ci sono pupazzi da stringere e quadri felici da guardare. Non c’è nessuna sedia minuscola e colorata. Ci sono io con le gambe che non toccano terra: sospesa in mezzo alla stanza, con la colpa incastrata nello stomaco. Peccato e peccatrice. C’è anche un’altra ragazza, lei sì che se ne sta seduta composta, con le gambe larghe e la schiena ad arco. Una mezzaluna sotto il vestito premaman. Che significa premaman? La sua colpa non è un peccato, ma un desiderio che forse è diventato un dono. Mia madre sta in silenzio, di fianco a me, a recitarsi in testa le cose che dirà alla dottoressa. Poi mi chiamano e allora si alza cigolando. Mi precede ed entriamo nello studio che io ancora fluttuo, come un palloncino nero gonfiato col dolore. Il dolore ti spinge verso l’alto, elimina la gravità e ti allontana. Non è vero che c’è un fondo sotto i piedi: c’è uno spazio infinito sopra la testa in cui perdersi. Per esplodere. La dottoressa è una ragazza, ha i capelli raccolti e gli occhi distanti tra loro. Pare un uccello. Mia madre prende a parlare ancora prima che quella ci chieda qualcosa, come per giustificarsi. Conto le volte che pronuncia la parola bambina: bambina, bambina, bambina, bambina, bambina, bambina, bambina, è solo una bambina. La dottoressa mi guarda e io le sorrido anche se non sembra proprio un sorriso, il mio. È un sorriso triste, ecco. Perché un po’ non voglio sgonfiarlo ’sto palloncino. Però alla fine penso che sia giusto toglierlo il dolore e tornare a essere come prima. Si leva il dolore e il palloncino si sgonfia, e posso tornare a terra. Ma poi come si rigonfia? Soffiandoci dentro, che è un po’ come respirare e anche un po’ come vivere. Vivere, finalmente. Almeno il palloncino resta lì dove deve stare.
La dottoressa chiede se ci siamo parlate, se siamo sicure. Mia madre dice sicuro che siamo sicure. E pure questo non è vero, ché io la mia verità non l’ho mica detta. L’ho pensata e me la sono messa in tasca. Firmiamo, io e mia madre, ma la mia firma vale meno.
E così sono andata ad abortire. Dovrei ricordarmi di come tutto è successo, del dolore che ho sentito, di come ho pianto, di mia madre che mi consola, dei padri dentro questa storia. Invece ricordo solo l’attimo prima di entrare, perché è lì che mi voglio fermare, congelare questa esperienza come un cubetto di ghiaccio in mezzo ad altri cubetti come me, nel buio del freezer.
L’attimo prima di entrare mi sono vista riflessa nella porta a vetri e non ero io. Sicuro che non ero io. Perché quella davanti a me non era una bambina.
Eccolo qui, l’attimo prima.
Mattia Grigolo