Anche questo è femminismo di Bossy: facce della stessa medaglia. Recensione
Bossy ha illustrato nel saggio Anche questo è femminismo le mille sfaccettature del movimento. Dalla body positivity al razzismo, passando per la comunità LGBTQIA+, sport ed emergenza climatica, il libro permette di guardare i principali fenomeni del momento attraverso una lente femminista. Che poi, si sa, è una lente critica, progressista, inclusiva.
Anche questo è femminismo di Bossy. La struttura del libro
Quello proposto da Bossy è un saggio scritto a più mani, ciascuna delle quali ha aperto un varco su un fronte diverso del femminismo intersezionale. Sono ben quindici i contributi di cui può contare Anche questo è femminismo, nati in occasione di una serie di incontri online e trasformati in capitoli per parlare di tutti quegli argomenti che hanno a che fare con la materia, anche quando potrebbe non sembrare.
Alcune tematiche affrontate in Anche questo è femminismo
Quel corpo che ci hanno insegnato ad odiare
Forse un libro non si giudicherà dalla copertina, ma una persona verrà sempre giudicata sulla base del proprio corpo. A maggior ragione se si tratta di una donna.
Belle di faccia affronta l’argomento – scottante – della fat acceptance e della body positivity, risalendo alle origini, agli anni ‘70 e al The Fat Underground – l’anello di congiunzione tra l’accettazione dei corpi grassi e il femminismo.
Avere un corpo è forse la più grande sciagura, o almeno questo è quello che la società patriarcale vuole farci credere. Bisogna restringersi, occupare il meno spazio possibile. Bisogna essere belle, magre, curate. Bisogna anche piacersi: “ama te stessa” è diventato un imperativo e non si sa come sia potuto succedere, perché se come dice Pennac il verbo leggere non regge l’imperativo, è altrettanto vero che la regola vale anche per amare. Eppure, questo slogan adottato sempre di più dai principali brand, fa presa sulle donne portando a vendere con successo i prodotti sponsorizzati. Se ti ami, hai sicuramente bisogno di questo elisir di bellezza. Ama le tue imperfezioni, ma compra la nostra crema che te le cancellerà.
Quella tv che ci cancella
Marina Perri lo dice forte e chiaro: «la rappresentazione audiovisiva non è la realtà, è quello che si sceglie di mostrare della realtà». Questa scelta, non è di certo quella che rende giustizia al genere femminile.
Secondo il report del Global Media Monitoring Project, in pandemia la rappresentazione femminile nei mass media è ulteriormente diminuita. Inoltre, i dati mostrano che all’aumentare dell’età delle donne, la loro presenza nelle news diminuisce. Una donna su cinque compare nelle notizie come vittima, contro il 4% degli uomini; e sempre una su cinque viene presentata come moglie, madre o figlia di qualcuno. Nel mondo di tutti i giorni, la loro presenza e i ruoli da loro ricoperti sono importanti, ma in tv restano comunque angeli del focolare e mamme in carriera. Come scrive Mc Nill nel capitolo dedicato al movimento LGBTQIA+, «la rappresentazione è come una stanza buia con un singolo meraviglioso angolo illuminato: è inquadrato perché la società mandante della rappresentazione stessa desidera che sia pienamente identificato con la realtà naturale e sociale».
Praticamente, tutto il resto è al buio perché considerato scomodo. Mc Nill mostra come nella scorsa stagione, su Prime, Hulu e Netflix, la rappresentazione di persone con disabilità era solo del 3%, mentre le persone LGBTQIA+ ammontavano a 141.
I mass media dovrebbero essere lo specchio della società, dovremmo guardarci dentro e ritrovarci. Questo non avviene: sembra che lo specchio sia uno di quelli di Alice nel Paese delle Meraviglie, distorto.
Quell’uguaglianza che manca
Non è vero che se vuoi puoi, che se puoi sognarlo puoi farlo. Servono anche le possibilità e questa società non aiuta. Virginia Woolf sosteneva che per realizzare il proprio potenziale, ci volesse lo stomaco pieno, il rispetto di chi ti sta intorno e una stanza tutta per sé. Purtroppo, solo pochi fortunati dispongono di queste risorse. La pandemia ha accentuato le differenze: non tutti avevano una stanza tutta per sé o un computer per fare le lezioni a distanza, non tutti avevano il frigo pieno con le aziende ferme. Nella nostra società si deve imparare a sopravvivere, a barcamenarsi tra le disuguaglianze, quando si dovrebbe solo vivere.
Anche questo è femminismo. Un libro che resta aperto.
Non si può arrivare in fondo al libro di Bossy senza un po’ di amaro in bocca, perché leggerlo significa riflettere sul mondo che ci circonda e prendere consapevolezza di quante cose non vadano ancora per il verso giusto in materia di parità di genere. Non c’è alcun finale, resta ancora tutto da scrivere. E sappiamo che dipende anche da noi.
a cura di Maria Ducoli