Atti di sottomissione di Megan Nolan: mettersi a nudo tra memoir e fiction. Recensione
Atti di Sottomissione è il romanzo d’esordio di Megan Nolan, scrittrice irlandese i cui articoli – di fiction e non fiction – sono stati pubblicati da diverse testate: The Guardian, The New York Times, The Sunday Times. In Italia, Atti di Sottomissione (Acts of desperation il titolo originale) è stato pubblicato dalla casa editrice NN Editore tradotto da Tiziana Lo Porto, ed è il primo di una nuova serie intitolata Le Fuggitive. Dedicata interamente a una narrativa internazionale e femminile, la nuova collana di NN Editore si concentra su storie di donne “che non si sentono mai aderenti ai canoni del femminile e, in una costante peregrinazione senza meta, accettano il rischio di abitare lo spazio senza tempo del desiderio e dell’amore”.
Atti di sottomissione: la trama del libro di Megan Nolan
Atti di sottomissione è un romanzo intenso che vive lungo il confine volutamente sfumato tra racconto autobiografico e fiction. La storia si apre con la descrizione di un primo incontro perfetto: la protagonista e voce narrante incontra Ciaran – bello, intelligente, perfetto – a una mostra d’arte nella città di Dublino. I due si guardano, si piacciono, decidono di iniziare a uscire.
“Ciaran non è stato solo il primo bell’uomo con cui sono andata a letto, o il primo per cui ho provato sentimenti ossessivi: è stato il primo che ho venerato. Il suo corpo sarebbe diventato per me un luogo di preghiera, un posto dove dimenticare la mia carne viva e stare solo con la sua. Era una questione di piacere assoluto, di bellezza totale”.
Il rapporto tra i due si trasforma ben presto in qualcosa che non potrebbe essere più lontano dal concetto di amore: mentre Ciaran è un uomo abusante, crudele e anaffettivo, la protagonista si costringe in una dinamica di relazione umiliante il cui unico obiettivo è quello di soddisfare i desideri dell’altro:
“Sarei stata completamente vuota e immobile se era quello che voleva, o rumorosa quanto bastava per riempire i suoi silenzi. Sarei stata vigorosa e vitale se si annoiava, e quando si fosse stancato, sarei diventata prosaica e noiosamente utile come le posate”.
Guardarsi allo specchio senza distogliere lo sguardo: una voce narrante che non teme il giudizio altrui.
Sarebbe sbagliato tuttavia pensare al romanzo come alla narrazione di una storia d’amore, per quanto tossica, debilitante ed estremamente problematica; Atti di sottomissione è invece un lavoro di scavo incessante e senza sconti nella mente della protagonista che, attraverso un crudo monologo interiore, trascina chi legge nell’abisso di se stessa.
Accade spesso nel genere del memoir che l’autore o autrice romanticizzi – consapevolmente o meno – la propria esperienza autobiografica per renderla accettabile o giustificabile agli occhi di chi legge. Con Megan Nolan questo non accade: la scrittrice non fa sconti alla se stessa del passato, anzi: la narrazione intera è dominata da un profondo disgusto di sé man mano che la voce narrante mette a nudo il suo rapporto con Ciaran.
Le persone che si amano e il modo in cui lo si fa sono spesso rivelatori: in Atti di sottomissione la protagonista ha bisogno dell’amore come dell’aria, dell’alcool, del cibo. Ne è dipendente, la fa stare bene, la nutre, le dà uno scopo in una vita che sente priva di stimoli e in definitiva di senso. Ciaran non è dunque “solo” un partner: diventa la sua ragione di vita, l’oggetto della sua venerazione. Un dio crudele al quale obbedire e dal quale farsi umiliare.
“Essere innamorati ti concede una sorta di grazia. Un amico una volta mi ha detto che immaginava suo padre o Dio guardarlo mentre lavorava, per essere più produttivo. Essere innamorati per me era questo: uno scudo, uno scopo più alto, una promessa a qualcosa fuori di te”.
Conoscere se stessi come strumento necessario di liberazione.
Quella di Nolan è, infine, una storia dolorosissima e traumatica di liberazione, intesa qui come un processo psicologico di allontanamento da ciò che fa soffrire, anche se questo non ha necessariamente un lieto fine: non per forza “rende libere”. La protagonista infatti riuscirà ad analizzare l’esperienza vissuta da una certa distanza, con una certa raggiunta calma. Ma essere consapevoli di sé – delle paure, dei bisogni – significa automaticamente anche liberarsi dai propri demoni interiori? Nolan non offre in questo romanzo una risposta, bensì la testimonianza intensa di una donna che prende, pur con mille difficoltà, consapevolezza di se stessa.
“Il rimproverarmi e modellarmi, i complimenti ambigui e i consigli sarcastici. La costante consapevolezza che mai e poi mai sarei stata quello che voleva. Il piacere spesso non era piacere: era sollievo dal dolore. Era legarti da sola e sentirti bene quando le bende cadevano, era procurarti un buco nella gamba per poter sentire che guariva. Avevo sofferto, avevo trasformato la sofferenza in qualcosa che riuscivo a considerare buono. Avevo fatto in modo che la sofferenza fosse una specie di lavoro”.
a cura di Alessia Cito