Il racconto del mercoledì: Sandali bianchi di Tommaso Stefanori
Senza troppi preamboli. Mi si affianca questa tipa al semaforo. È sera tardi, ora di cena, il sole indeciso se restare o tramontare. Siamo solo io e lei al semaforo. Roma è deserta e bellissima come solo d’estate sa essere. Lei è in un’anonima macchina color metallizzato, non le distinguo più l’una dall’altra, sembrano tutte enormi rasoi elettrici che fanno la barba alla Terra. Dove è andato a finire il gusto degli anni ’70? Sto tornando a casa da lavoro, a pezzi, e con la malinconia di sapere che non ho nessuno con cui bere, o forse che non ho nessuno e basta. Lei ha un aspetto angelico, però. È più grande di me, molto più grande, in un vestito bianco candido interrotto solo dal nero della cinta di sicurezza che con nonchalance le solca i seni. Ha gli occhi di chi ne ha viste tante e non gliene frega niente di farlo vedere, niente trucco, niente trucchi, la vita ci piglia a schiaffi tutti. Ho la radio alta col grunge che gracchia fuori dalle casse, in sintonia coi pensieri che mi gracchiano in testa. Riconosce il pezzo, si gira, mi guarda, sorride, scuote la testa a ritmo e fa il labiale delle parole. Scatta il verde e partiamo, lenti, affiancati, i finestrini perfettamente allineati.
Nessuno dei due ha fretta o nessuno dei due vuole allontanarsi dall’altro o… entrambe le cose. In ogni caso sticazzi, perché non c’è nessuno dietro a noi. Nessuno squalo della strada – capito chi?, quelli che lampeggiando ti si appiccicano dietro tanto da sapere di che colore hai le mutande, ammesso che uno le porti. A ogni modo, siamo in strada, acceleriamo e ci fissiamo, ci fissiamo e acceleriamo. Arriviamo sul raccordo anulare e decido di spingere sull’acceleratore. Spingo, spingo, e spingo e cazzarola spinge anche lei. Planiamo sull’asfalto a centocinquanta chilometri orari con i finestrini perfettamente allineati, ancora, ancora. La guardo incantato, quando all’improvviso lei mi fa: «Prendi!». Mi tira le sue scarpe, dei sandali, bianchi anche loro. Merda, stava guidando scalza, coi piedi nudi sui pedali! Quella donna, con forse il doppio della mia età, mi ha rapito il cuore così: lanciandomi le sue scarpe da un’auto in corsa a centocinquanta all’ora. Sono a bocca aperta, entra qualche moscerino, non so che fare, non so che dire, ma la titubanza non resta per molto. D’improvviso lei frena e prende l’uscita sulla destra mentre io, coi miei settanta cavalli neri a briglie tirate, continuo verso Roma Sud, nel ventre sudicio e accogliente di questa città.
Mi sveglio con il suono della dannata sveglia, sudato solo sul lato destro del collo e mi deprimo al pensiero che fosse solo un sogno, forse alcolico, ma pur sempre un sogno. Mi lavo viso e denti cercando di prendere a calci in culo con lo spazzolino l’alito che sa di uva rancida. Mi vesto e scendo in strada, l’aria è fresca e mi pare di respirare per la prima volta dopo ore. Entro in macchina e c’è un sandalo buttato sul lato passeggero, bianco. Sto ancora cercando il secondo.
Tommaso Stefanori